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Storie di vita

In attesa di un bambino o una bambina

L’esperienza di un uomo in carrozzina che si sposa, mette su casa e intraprende, con sua moglie, il percorso per adottare un bambino, rivelando paure e scoprendo potenzialità

Mi chiamo Lucio e quattordici anni fa, appena divenuto maggiorenne, ho avuto un incidente stradale che mi ha completamente cambiato la vita, rendendomi un giovane con disabilità motoria, seduto in carrozzina.
Qualche anno dopo ho conosciuto la donna che sarebbe diventata mia moglie e, quando abbiamo deciso di sposarci, abbiamo dovuto, prima di tutto, pensare alla casa e ai vari accorgimenti necessari a vivere in modo autonomo e tranquillo. Oltre infatti ai logici interventi legati all’accessibilità, come lo scivolo, le rampe, l’ascensore, abbiamo voluto anche rendere la nostra abitazione il più fruibile possibile.
Per la cucina, ad esempio, è stato necessario un compromesso. Il piano cottura non doveva essere troppo alto, per non costringermi a cucinare con le braccia all’aria. Nemmeno mia moglie, però, poteva usare i fornelli piegata a terra. E quindi ci siamo rivolti ad un artigiano, che ha realizzato tutto su misura, in base a ciò che ci serviva.
Naturalmente questo ha comportato maggiori spese rispetto a quelle che vengono affrontate da una qualsiasi altra coppia appena sposata. E so anche che in tanti, purtroppo, non possono permetterselo, e quindi sono costretti a rinunciare a certi accorgimenti che potrebbero invece farli vivere meglio.

Abbiamo così iniziato la nostra vita insieme, ma ben presto in tutti e due è nato un forte desiderio di ingrandire la famiglia.
Quello della paternità è un aspetto della vita che avevo già affrontato da molto tempo, durante il mio percorso riabilitativo. Nel periodo immediatamente successivo all’incidente sono stato, infatti, trasferito dall’ospedale pugliese dove mi avevano ricoverato, vicino al mio paese di nascita, ad un centro specializzato emiliano.
Già allora si trattava di una struttura all’avanguardia, a livello nazionale e non solo, dove la persona arrivava e veniva addestrata, nel vero senso della parola, al nuovo futuro che lo attendeva.
In quei sette mesi di riabilitazione, ho affrontato tutti gli aspetti della vita, insieme ad alcuni specialisti. E naturalmente ci siamo soffermati anche sulla sfera della sessualità e sulla possibilità di diventare un genitore, questioni di cui credo si parli ancora troppo poco. Si tratta infatti di problemi concreti e, volendo affrontarli nel migliore dei modi, bisognerebbe farli emergere in ogni loro sfumatura.

In quel periodo, dunque, ho capito che una mia eventuale paternità avrebbe dovuto necessariamente passare per un’adozione ed è stato proprio quello il percorso che con mia moglie abbiamo deciso di intraprendere.
Entrambi avevamo grande timore, anche perché in molti ci avevano parlato di una strada difficile, che in alcuni casi poteva addirittura arrivare a destabilizzare una coppia. Alle classiche paure di un genitore che teme di non essere all’altezza della situazione, si aggiungeva poi la mia condizione di disabilità. Ho capito però, in quel periodo, che fasciarsi la testa prima ancora di essersela rotta era quasi come voler preannunciare un fallimento, e allora mi sono fatto forza.

Alla fine è andato tutto bene, grazie anche alla fortuna di incontrare, all’interno dei servizi pubblici del mio territorio, alcune persone comprensive, competenti e molto professionali.
Non ci hanno mai nascosto gli eventuali problemi, ma hanno anche saputo fare emergere tutte le nostre potenziali capacità nell’affrontare la vita in presenza di una terza persona. E questo, secondo me, è proprio il modo giusto di affrontare la disabilità. È stato un percorso che, da una parte, ci ha fatto riscoprire molti aspetti positivi della coppia, e dall’altra ci ha fornito nuovi strumenti per capire dove possiamo arrivare e quello che siamo in grado di fare, nonostante le mie limitazioni fisiche.
E così, da quasi un anno, abbiamo ottenuto l’idoneità all’adozione, e adesso non stiamo più nella pelle aspettando l’arrivo di un bambino o una bambina.

February 2018