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Storie di vita

L’importante è salire!

La battaglia quotidiana di un uomo con disabilità per mantenere la propria autonomia in una grande città, tra inaccessibilità delle strutture e dei servizi, e scarsa preparazione degli operatori

Secondo Maurizio vivere in carrozzina, soprattutto in una grande città, significa affrontare ogni giorno un percorso ad ostacoli. Non sai mai cosa ti trovi davanti, e il più delle volte non è qualcosa di buono.
Quello su cui ha lavorato nel tempo è la sua autonomia: un processo di acquisizione di abilità personali e di consapevolezza dei propri diritti che gli permette di condurre una vita indipendente, nel rispetto dei propri tempi e con il sostegno di alcuni elementi di facilitazione.
«A differenza di altri che sono in carrozzina in seguito ad un incidente - racconta - io non ho mai camminato, ma quando avevo vent’anni stavo sicuramente peggio di come sto ora che ne ho quasi 45. Mi sono sempre impegnato, e continuo ancora a farlo, per favorire la mia autonomia. E, quando mi sento dire che l’autonomia non è possibile per una persona con disabilità, mi si rizzano i peli sulle braccia. Credo che chi affermi questo abbia elaborato un concetto sbagliato di autonomia. Essere autonomi non significa fare le cose da soli sempre e comunque, contare unicamente sulle proprie forze, non chiedere aiuto a nessuno o non usare gli strumenti di supporto più adatti alle proprie necessità. In questo mondo siamo tutti interdipendenti gli uni dagli altri. Certo, una persona con disabilità si imbatte in ostacoli e barriere sul proprio cammino. Io a volte sono solo e sulla strada incontro gradini, salite, buche. E allora fermo la prima persona che passa e chiedo: “mi aiuta un minuto?”. A quella persona non costa nulla aiutarmi, è un minuto del suo tempo, ma io così ho la possibilità di organizzare la mia vita indipendentemente dagli altri, che siano i miei familiari o i servizi pubblici, che non ammettono margini di flessibilità. Questa per me è autonomia».

Ovviamente, e Maurizio ne è fermamente convinto, ciò non significa affatto che la solidarietà e l’aiuto dei passanti possano rappresentare un alibi per le istituzioni, rispetto al mancato esercizio del diritto alla mobilità e alle discriminazioni di cui di fatto sono vittime le persone con disabilità.
«Per quanto riguarda i mezzi pubblici, io ho una discreta esperienza. Per quattro anni ho fatto su e giù tra casa e lavoro, e devo dire che, se già le cose non funzionano per un qualsiasi pendolare, per una persona con disabilità le difficoltà si moltiplicano. Sicuramente, data la mia esperienza, consiglierei di non ricorrere ai servizi dedicati messi a disposizione dal Comune alle persone con disabilità, perché sono organizzati con orari rigidi che non si adattano ai tempi del lavoro. Ma anche i comuni mezzi pubblici richiedono una certa organizzazione: non tutte le stazioni ferroviarie, ad esempio, sono accessibili; per richiedere assistenza bisogna chiamare con un certo margine di anticipo; non si può prendere un treno qualsiasi; la maggior parte delle volte negli autobus non funziona la pedana. Quindi, la mia filosofia ormai è diventata questa: l’importante è salire! Non importa come ci riesco, purché ci riesca».

C’è poi tutto il tema della formazione degli operatori, sul quale Maurizio avrebbe pure molto da dire: «Una volta sono andato in Comune per fare un documento e all’entrata ho trovato una bella rampa di scale, allora ho chiesto se esistesse una padana per salire, ma ho dovuto aspettare, prima un’ora e poi altri quaranta minuti, perché il portiere non sapeva dell’esistenza di un montascale ed è andato a chiedere aiuto a qualcun altro. E, quando l’addetto è arrivato, non sapeva far funzionare il montascale: le comiche proprio! A volte il problema è che le attrezzature ci sono anche, però gli addetti non ne sono nemmeno a conoscenza o non le sanno usare».

Altre volte ancora capita che gli operatori allo sportello non si rivolgano direttamente alla persona con disabilità ma al suo accompagnatore, perché così è più semplice, perdono meno tempo, non corrono il rischio di non capire. A questo Maurizio controbatte con la sua logica: «Anch’io incontro problemi e difficoltà, ma proprio per questo vado sempre da solo, così l’operatore è costretto ad ascoltarmi e a parlare con me. Non posso negare che per chiunque sia più complicato parlare con una persona che ha difficoltà nell’eloquio. E so anche che questo comporta una perdita di tempo nella nostra società così frenetica. Però non sapete quanto questo faccia bene alla persona».

September 2017