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Storie di vita

Le fatiche di una donna sorda e cattolica praticante

Gli ostacoli alla pratica religiosa affrontati da una donna sorda, che chiede più attenzione e condizioni di pari opportunità, quindi sia sottotitoli che lingua dei segni

La sordità progressiva di Olga è insorta sin dall’infanzia, diventando via via una sordità profonda. Oggi, che ha superato i cinquant’anni, ricorda ancora molto bene il momento in cui ha iniziato a recuperare la sua vita sociale, grazie principalmente ad un gruppo di persone conosciute in parrocchia. «Per molti anni, da ragazza, ho sofferto di solitudine e mi sono dedicata soprattutto allo studio. I rapporti con i coetanei non erano facili, perché tra adolescenti si tende ad isolare, ad emarginare. Non ero integrata nella classe, o meglio, ero lì in aula, però nei gruppi non mi invitava mai nessuno. Insomma, ho sofferto abbastanza. Poi, intorno ai vent’anni, ho conosciuto nel giro della parrocchia un gruppo di persone più grandi di me, più mature, un piccolo gruppo fisso, che mi ha aiutato parecchio ad avere fiducia nelle relazioni con l’altro, perché non ci credevo più molto».

Il rapporto di Olga con la religione inizia però da più lontano: si definisce infatti «credente da sempre» e sin da ragazza avrebbe voluto dare concretezza alla sua fede, partecipando ai vari riti con le stesse opportunità degli altri. Ma non sempre è stato facile, tutt’altro.
«Sapevo di avere un sentimento religioso - racconta - ma ci soffrivo, perché andavo a messa e non riuscivo a sentire nulla. Si recitava il rosario, ma per me era come un flusso di parole senza significato, che io invece volevo capire. Poi ho conosciuto un sacerdote che mi ha aiutato molto, perché ha capito che doveva aiutarmi a comprendere. Mi passava l’omelia prima della messa e durante la predicazione scandiva meglio le sue parole. La messa è ripetitiva e per me è diventata quasi una forma di logopedia. Mi allenavo a sentire gli stessi termini, a capirne il significato e poco per volta sono riuscita a superare quel senso di esclusione che provavo prima».

Quell’incontro, per Olga, è stato fondamentale ma poi, nel corso della sua vita, altri sacerdoti non sono stati altrettanto aperti alle sue esigenze. E nemmeno le chiese sono tutte dotate di una buona acustica. «Il prete della parrocchia che frequento adesso - racconta ancora - ha un modo di parlare diverso, e la chiesa stessa ha un’acustica peggiore. Ora, però, mi sento più matura e accetto meglio la situazione. Ho imparato, ad esempio, che l’omelia non è tutto, che l’importante è essere lì, presenti. Prima ci soffrivo molto, forse ci soffro un po’ anche adesso, ma non è più importante come quand’ero giovane».

Al di là della sua stessa persona, Olga vuole però mettere in chiaro un problema più generale riguardante la Chiesa Cattolica e il rapporto con la disabilità. «Sono pochi anni - dice infatti - che si parla apertamente di disabilità nella Chiesa a livello istituzionale. Purtroppo, però, non è ancora diffusa l’abitudine ad andare incontro a tutte le persone con disabilità. Certo, si è iniziato a mettere delle pedane, per far superare gli scalini a chi è in carrozzina, ma da persona sorda dico che siamo ancora molto indietro nel far sì che tutti i disabili possano andare a messa e partecipare alla vita religiosa. Mi torna anche in mente un convegno sulla disabilità, organizzato qualche anno fa dalla Diocesi, in una sala enorme, con la platea posizionata lontanissima dai relatori. Naturalmente non ho capito nulla ed è stato allora che ho reclamato la presenza dei sottotitoli, che secondo me servono a tutti».

C’è un pregiudizio che a parere di Olga pervade ancora profondamente la società, ben oltre la Chiesa stessa, ed è «il pregiudizio del sordo che è anche muto. Un’idea - spiega - tutt’altro che cancellata, che continua ad essere prevalente anche a livello istituzionale».
E così a tutt’oggi, sia a Torino, la sua città, che all’interno di importanti edifici religiosi di Roma, le capita di imbattersi solamente nella scritta: “è garantita la lingua dei segni”, che lei non conosce, perché non tutti i sordi usano lo stesso modo di comunicare. «Eppure - conclude - basterebbe semplicemente un approccio un po’ più attento, un maggiore avvicinamento alle persone sorde. Questo farebbe rapidamente capire che servono tutte e due le cose, la lingua dei segni e anche la sottotitolazione. Qualcuno a Torino ha iniziato a capirlo, ma in generale non è così e ancora in troppi pensano che “se parli, non sei sorda”!».

November 2017