Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo 3 maggio 2024 n. 62 si conclude la prima parte del percorso normativo di quella che è stata definita sinteticamente come “riforma della disabilità”. Vi sono ora le basi formali per i successivi passaggi regolamentari, di sperimentazione, di formazione preliminari all’entrata effettiva a regime del nuovo impianto. Il decreto entra in vigore il 30 giugno 2024.
Il decreto legislativo 62/2024 deriva da uno specifico mandato definito dalla legge delega al Governo in materia di disabilità (legge 227/2021), una riforma a sua volta prevista (assieme a quella sulla non autosufficienza) dal PNRR, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, concordato dall’Italia con gli organi UE.
Il titolo della nuova norma già delinea il perimetro degli interventi: “Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato”.
Il testo che segue tenta di descriverne i contenuti, riconducendoli agli stessi macro-argomenti indicati nell’epigrafe ed evidenziando le novità, le differenze con l’attuale situazione, nonché gli aspetti ancora non chiariti sui quali non è possibile per ora fornire indicazioni.
0. La definizione di disabilità
1. La valutazione di base
1.1. Le competenze
1.2. Le commissioni
1.3. I criteri
1.4. La domanda
1.5. La “visita”
1.6. La revisione e l’aggravamento
1.7. Il verbale (certificato)
1.8. Efficacia provvisoria anticipata della valutazione di base
1.9. Obblighi di informazione alla persona con disabilità
1.10. Anziani
1.11 – Principio di non regressione e tutela dei diritti acquisiti
2. L’accomodamento ragionevole
3. La valutazione multidimensionale e il progetto di vita
3.1. Il perimetro del progetto di vita
3.2. Libertà di abitare
3.3. L’autodeterminazione e la partecipazione
3.4. L’avvio del procedimento
3.5. Le unità valutative multidimensionali
3.6. Le regioni
3.7. La valutazione multidimensionale
3.8. Forma e contenuto del progetto di vita
3.9. Il budget di progetto
3.10. Referente per l’attuazione del progetto di vita
3.11. Fondo per l’implementazione dei progetti di vita
3.12. Coordinamento per l’integrazione delle programmazioni sociali e sanitarie nazionali e regionali
4. La formazione e la sperimentazione
4.1. La formazione
4.2 La sperimentazione
5. Le risorse
0. La definizione di disabilità
Il concetto e la definizione di disabilità è già presente nella normativa italiana dal momento della ratifica della Convenzione ONU sui diritti della persona con disabilità (legge 18/2009). Tuttavia, sopravvive nella normativa italiana la preesistente definizione di handicap espressa dalla nota legge 104/1992; a sua volta mutuata da una datata definizione dell’OMS (Organizzazione Mondiale Sanità).
Il decreto 62/2024 compie due operazioni: una definitoria e una di correzione terminologica.
Nella definizione di persona con disabilità riprende quasi integralmente quella espressa dalla Convenzione ONU e lo fa modificando l’articolo 3 della legge 104/1992 (rif. art. 3, comma 1): “è persona con disabilità chi presenta durature compromissioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che, in interazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione nei diversi contesti di vita su base di uguaglianza con gli altri, accertate all’esito della valutazione di base”.
Rispetto alla definizione ONU, il legislatore italiano ha preferito ora tradurre “impairment” con “compromissione” anziché con “minorazione” o “menomazione”. Vi è poi la puntualizzazione aggiuntiva che la persona con disabilità è effettivamente tale solo se c’è stata una valutazione di base che ne ha riconosciuto lo status.
La seconda operazione è quella di una congruente revisione terminologica che sostituisce, ovunque ricorrano, alcune parole o locuzioni (rif. articolo 4). Vediamole nel dettaglio:
– «handicap» sostituita con «condizione di disabilità»;
– «persona handicappata», «portatore di handicap», «persona affetta da disabilità», «disabile» e «diversamente abile» sostituite con «persona con disabilità»;
– «con connotazione di gravità» e «in situazione di gravità» sostituite con «con necessità di sostegno elevato o molto elevato»;
– «disabile grave» sostituita con «persona con necessità di sostegno intensivo».
Da notare che queste indicazioni, unitamente alla lettura del nuovo testo dell’articolo 3 della legge 104/1992, consentono di delineare teoricamente una graduazione della disabilità su 4 livelli (oggi l’handicap ne prevede solo due, con o senza gravità):
– persona con disabilità con necessità di sostegno di livello lieve;
– persona con disabilità con necessità di sostegno di livello medio;
– persona con disabilità con necessità di sostegno intensivo di livello elevato;
– persona con disabilità con necessità di sostegno intensivo di livello molto elevato.
I diversi livelli saranno indicati, assieme ad altri elementi, nel relativo “verbale” emesso alla fine della valutazione di base (rif. art. 10, comma 1, lettera f).
Appare evidente come la nuova differente graduazione possa consentire in futuro di modulare in modo diverso gli interventi, i sostegni, le agevolazioni.
I criteri di valutazione della diversa intensità del sostegno saranno definiti con un successivo decreto (rif. art. 12, comma 2, lettera i) da emanare entro il 30 novembre 2024.
Osservazioni: rimangono nella normativa vigente di settore termini quali “mutilato”, “minorazione”, “irregolari psichici per oligofrenie”, oltre al concetto di “invalidità” che peraltro continua ad essere valutata.
1. La valutazione di base
Va chiarito subito che solo parte degli articoli del decreto legislativo 62/2024 hanno efficacia immediata, o meglio l’entrata in vigore del decreto che è fissata al 30 giugno 2024 (rif. articoloDecreto legislativo 3 maggio 2024 n. 62 40). Gran parte delle disposizioni, in particolare quelle che riguardano la valutazione di base e multidimensionale, saranno operative in via sperimentale e a campione su un numero limitato di province (9) dal 2025 e in tutto il Paese dal 2026 al netto di eventuali decreti correttivi.
Pertanto, al momento (2024) non cambia nulla rispetto ai procedimenti di riconoscimento delle minorazioni civili, di valutazione ex lege 104/1999, ex lege 68/1999 (lavoro) e di riconoscimento di alunno con disabilità. Ugualmente per ora nulla cambia rispetto alle regole che disciplinano la rivedibilità dei verbali di invalidità e di handicap (legge 104/1992), alla possibile valutazione sugli atti e sulla documentazione sanitaria.
Per comprendere al meglio la riforma è possibile distinguere la parte che ridefinisce la valutazione di base, cioè quella che consente di accedere a provvidenze economiche e agevolazioni di varia natura, e la successiva valutazione multidimensionale, cioè quella più dettagliata e specialistica che consente la presa in carico e l’elaborazione del progetto di vita con tutto quello che ne deriva.
Com’è oggi: attualmente la valutazione di base riguarda le minorazioni civili (invalidità, cecità, sordità, sordocecità) e l’handicap (legge 104/1992). Le due valutazioni generalmente sono effettuate nella stessa seduta su richiesta dell’interessato. Quella ai fini del collocamento mirato (legge 68/1999) non è considerata una valutazione di base, tant’è che sono stati forniti nel tempo modalità e criteri specifici per il riconoscimento delle capacità e delle potenzialità della persona.
Dal 2017 (rif. articolo 5, d.lgs 66/2017) è stato poi delineato un nuovo specifico percorso per l’accertamento della condizione di disabilità in età evolutiva ai fini dell’inclusione scolastica, che avviene sempre nell’alveo della valutazione di base, ma poi si completa con il profilo di funzionamento che ricomprende la diagnosi funzionale e il profilo dinamico-funzionale. Su questo procedimento sono state emanate (rif. decreto ministeriale 14 settembre 2022) le Linee guida per la redazione della certificazione di disabilità in età evolutiva ai fini dell’inclusione scolastica, attualmente ancora ampiamente inapplicate nel Paese.
Di norma nel corso della attuale valutazione di base viene indicato anche se ricorrono le condizioni per il rilascio del contrassegno disabili e per le agevolazioni fiscali relative ai veicoli e ai sussidi tecnici previsti per le persone con disabilità (rif. articolo 5, decreto legge 9 febbraio 2012, n. 5), se ricorrono le condizioni per l’esenzione da qualsiasi successiva visita anche a campione (rif. decreto ministeriale 2 agosto 2007) o se ricorrono le condizioni per una successiva revisione.
Dalla percentualizzazione dell’invalidità o dalla presenza di altre condizioni (cecità, sordità) deriva l’accesso ad altri benefici, quali ad esempio l’esenzione dal pagamento dei ticket o l’accesso al sistema delle forniture protesiche e ortesiche, e ancora alla successiva valutazione ai sensi della legge 68/1999 (collocamento mirato).
Come dovrebbe essere in futuro: il decreto 62/2024 rafforza (rif. articolo 5) la tendenza a concentrare tutte le valutazioni di base in un procedimento unitario, dunque in un’unica seduta in presenza (salvo casi eccezionali). Quindi, nel medesimo momento dovrebbero essere definite le differenti condizioni.
Come in precedenza:
– l’invalidità civile, la cecità, la sordità, la sordocecità;
– la disabilità e il suo livello di sostegno (quello che prima era l’handicap ex lege 104);
– la disabilità in età evolutiva ai fini dell’inclusione scolastica, ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66;
– i requisiti necessari per l’accesso ad agevolazioni fiscali, tributarie e relative alla mobilità (contrassegno) e ad ogni altra prestazione prevista dalla legge;
– i presupposti per la concessione di assistenza protesica, sanitaria e riabilitativa, prevista dai livelli essenziali di assistenza;
– l’esclusione da controlli nel tempo;
– eventuali revisioni in casi eccezionali.
Diversamente dalla situazione attuale verranno aggiunti alla valutazione di base:
– l’accertamento della condizione di disabilità ai fini dell’inclusione lavorativa (legge 68/1999);
– l’individuazione degli elementi utili alla definizione della condizione di non autosufficienza, nonché di disabilità gravissima (rif. decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 26 settembre 2016).
Per quanto riguarda i minori è previsto che il percorso attualmente previsto per l’accertamento della condizione di alunno con disabilità sia successivamente delineato con più chiarezza nella valutazione di base probabilmente dunque rivedendo l’iter disegnato dalle specifiche Linee guida del 14 settembre 2022. Anche questo lo stabilirà un successivo decreto da emanare entro il 30 novembre 2024.
Osservazioni: lascia qualche perplessità il fatto che venga ricondotta all’interno della valutazione di base quella che riguarda il collocamento mirato (legge 68/1999) oggetto di elaborazioni e indicazioni specifiche virtualmente utili ad ottimizzare l’esame delle condizioni utili per la migliore inclusione lavorativa. Interrogativi simili permangono rispetto alla valutazione sui minori, oggetto anche questa di recenti (ancorché inapplicate) indicazioni operative per ottimizzare la definizione delle condizioni di alunno con disabilità ed, in particolare, del profilo di funzionamento (rif. articolo 5 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66 e “linee guida” del decreto 14 settembre 2022)
1.1. Le competenze
Com’è oggi: attualmente gli accertamenti di prima istanza relativi alle minorazioni civili e all’handicap (legge 104/1992) vengono svolti dalle commissioni operanti presso le ASL. Così pure gli accertamenti relativi al collocamento mirato (legge 68/1999). I relativi verbali passano poi ad INPS che li verifica e li convalida, a meno che non debba rivederli e correggerli. La convalida definitiva spetta sempre ad INPS. In alcuni territori le regioni hanno stabilito convenzioni con INPS che svolge anche la valutazione di prima istanza. Di norma poi le visite di revisione sono invece affidate ad INPS che provvede a convocare direttamente gli interessati.
Diversamente l’esame delle condizioni di disabilità gravissima (legate soprattutto alla concessione di contributi per la non autosufficienza) è affidato alle unità di valutazione multidisciplinari (UVM) che operano presso le ASL.
Come dovrebbe essere in futuro: la valutazione di base viene trasferita interamente alle commissioni di INPS, che quindi manterrà in futuro l’intera “filiera”: dal sistema informatizzato per la presentazione e la gestione delle domande, alla valutazione “in esclusiva”, all’erogazione di eventuali provvidenze economiche per le minorazioni civili.
1.2. Le commissioni
Com’è oggi: Attualmente le commissioni di prima istanza delle ASL sono composte da un medico specialista in medicina legale, che assume le funzioni di presidente, e da due medici, di cui uno scelto prioritariamente tra gli specialisti in medicina del lavoro. Sono integrate per la valutazione della legge 104/1992 e per la legge 68/1999 da un operatore sociale e da uno specialista nel caso da esaminare. Sono integrate da un medico INPS. Dunque sette componenti se si considera anche il medico “di categoria”.
Ad oggi è consolidata la presenza di commissioni che si occupano solo di minorazioni visive o di minorazioni dell’udito (sordi prelinguali), garantendo una maggiore specializzazione nei casi da esaminare.
Per le persone in età evolutiva sono composte da un medico legale, che assume le funzioni di presidente, e da due medici, di cui uno specialista in pediatria o in neuropsichiatria infantile e l’altro specialista nella patologia che connota la condizione di salute dell’individuo. Sono integrate da un assistente specialistico o da un operatore sociale, o da uno psicologo in servizio presso strutture pubbliche.
In tutti i casi le commissioni sono integrate da un medico in rappresentanza delle associazioni di categoria (ANFFAS, ENS, UICI, ANMIC).
Le commissioni di verifica dell’INPS hanno composizioni congruenti a quelle delle ASL.
Come dovrebbe essere in futuro: le commissioni (o meglio, le “unità di valutazione di base”) saranno solo INPS. Saranno composte da due medici nominati da INPS, e da una sola figura professionale appartenente alle aree psicologiche e sociali. Almeno uno dei componenti dovrà essere un medico specializzato in medicina legale o in medicina del lavoro o altre specializzazioni equipollenti o affini. Saranno integrate da un medico in rappresentanza delle associazioni di categoria (ANFFAS, ENS, UICI, ANMIC).
Dunque quattro componenti. Scompare lo specialista nel caso da esaminare.
Non sono più previste al momento commissioni specifiche per la cecità o la sordità.
Nel caso le valutazioni riguardino i minori, per le commissioni è previsto lo stesso numero di componenti ma con differente specializzazione: almeno uno dei medici nominati da INPS deve essere in possesso di specializzazione in pediatria, in neuropsichiatria infantile o equipollenti o affini, o di specializzazione nella patologia che connota la condizione di salute della persona.
Come si può immaginare, queste nuove competenze rappresentano un impegno in più per INPS. Il decreto conseguentemente autorizza l’Istituto all’assunzione di 1.069 medici (oltre a 142 unità di personale non dirigenziale da inquadrare nell’Area dei Funzionari amministrativi e 920 unità di personale non dirigenziale da inquadrare nell’Area dei Funzionari sanitari del Comparto Funzioni Centrali), con una spesa a regime di 215.371.872 euro annui.
A questi importi, per il 2025, vanno aggiunti 6,6 milioni di euro per la partecipazione alla valutazione di base del medico in rappresentanza delle Associazioni di categoria (ANMIC, ENS, UICI, ANFFAS), cifra che sale a 32,8 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2026.
1.3. I criteri
Com’è oggi: attualmente per la definizione delle percentuali di invalidità o delle condizioni di cecità o di sordità prelinguale le commissioni si rifanno sostanzialmente ai criteri stabiliti dal decreto del Ministero della sanità 5 febbraio 1992. Oltre alle indicazioni sulle modalità di calcolo e a specifiche indicazioni per taluni apparati, quel decreto reca soprattutto le tabelle che per ciascuna affezione, menomazione, patologia propongono una percentuale fissa o variabile (in un intervallo di 10 punti). Vi sono poi delle indicazioni per il relativo calcolo nel caso si riscontrino pluralità di limitazioni funzionali, a seconda che siano coesistenti o concorrenti. Il sistema, ritenuto da più parti superato e forse non adeguato a definire al meglio gli effetti delle compromissioni, permette di definire una percentuale e dunque differenti soglie che consentono o meno di ottenere determinate prestazioni (pensione, assegno, indennità) o sostegni.
Per la condizione di handicap (legge 104/1992), che è una valutazione più medico sociale che medico legale, non è mai stata fissata una criteriologia o un metodo consolidato.
Come dovrebbe essere in futuro: va subito premesso che per la compiuta definizione dei nuovi criteri si rimanda ad un decreto successivo che, oltre al resto, dovrebbe rivedere le tabelle dell’invalidità riprendendo la codificazione ICD e ICF, ma garantire comunque un sistema a soglie o a percentuali.
Criteri specifici dovranno essere definiti anche per individuare l’intensità di sostegno per la disabilità (lieve, media, elevata e molto elevata).
I nuovi criteri dovrebbero comunque essere improntati scientificamente a riconosciute classificazioni internazionali: l’ICF (Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute) e l’ICD (Classificazione internazionale delle malattie).
Il primo prende in considerazione funzioni e strutture corporee, fattori ambientali e attività e partecipazione: saranno queste ultime al centro della valutazione volta anche a definire un profilo di funzionamento della persona.
Sul secondo (ICD) non è chiaro se verrà usata la versione 9 oppure la versione 10, ma la norma rimanda ad un decreto successivo nel quale saranno disposte le modalità di applicazione degli aggiornamenti della Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF).
Va detto che entrambi gli strumenti (descrittivi) non sono di semplice uso, il che presuppone una diffusa e ampia formazione in chi poi li dovrà applicare nel suo quotidiano operare. Ma su questo aspetto c’è uno specifico articolo di cui parliamo in seguito.
Nei procedimenti di valutazione verrà usato anche il WHODAS (WHO Disability Assessment Schedule).
Si tratta di un questionario di valutazione che misura la salute e la condizione di disabilità. Riguarda i diversi domini della vita quotidiana e delle relazioni. Verrà somministrato – direttamente alla persona, oppure al congiunto o a chi lo assiste – in tutte le nuove valutazioni (rif. art. 6, comma 4). Per la sua compilazione sono stimati circa 20 minuti e una specifica preparazione dell’intervistatore.
(rif. Testo informativo su WHODAS)
1.4. La domanda
Com’è oggi: oggi per innescare il procedimento di riconoscimento delle minorazioni civili e dell’handicap (legge 104/1992) è necessario seguire uno specifico iter. Innanzitutto, è necessario rivolgersi al medico curante in possesso di credenziali INPS e farsi redigere il cosiddetto certificato introduttivo in cui sono riportati i dati anagrafici, gli elementi anamnestici e diagnostici, il tipo di riconoscimento richiesto, l’eventuale presenza di patologie oncologiche.
Attualmente la quasi totalità dei medici di famiglia (medici di medicina generale) e i pediatri di libera scelta sono in possesso delle credenziali INPS per redigere il certificato introduttivo.
Una volta in possesso del certificato introduttivo – che è prestazione libero professionale e che si paga – si può presentare la domanda vera e propria. Lo si fa usando il sistema telematico di INPS, in autonomia o con il supporto di un patronato o di una associazione di categoria autorizzata. Si può anche allegare, successivamente, documentazione sanitaria.
La fase di presentazione della domanda è spesso anche l’occasione per verificare e correggere eventuali errori formali presenti nel certificato introduttivo, oltre a coincidere con l’invio di altri atti amministrativi (ad esempio il modulo relativo alle condizioni socio-economiche).
Come dovrebbe essere in futuro: il decreto unifica il certificato introduttivo alla domanda. Nella sostanza il certificato introduttivo – riveduto e corretto – è esso stesso la “domanda” di accertamento (primo accertamento o aggravamento) (rif. articolo 8).
Cambia invece la platea dei medici che possono rilasciare il certificato introduttivo e i requisiti che devono avere. Di norma il certificato può essere rilasciato dai medici in servizio presso le ASL, le aziende ospedaliere, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, i centri di diagnosi e cura delle malattie rare.
Il certificato introduttivo, nella sua nuova veste, potranno rilasciarlo anche i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta, gli specialisti ambulatoriali del Servizio sanitario nazionale, i medici in quiescenza iscritti all’albo, i liberi professionisti e i medici in servizio presso strutture private accreditate, ma in questo caso devono essere autorizzati (nuovamente) da INPS, che lo fa solo dopo avere acquisto la documentazione relativa alla formazione effettuata, nell’ambito del programma «Educazione continua in medicina» (ECM), in materia di classificazioni internazionali dell’Organizzazione mondiale della sanità, di promozione della salute, di accertamenti sanitari di base oppure di prestazioni assistenziali.
La conseguenza probabile è che molti medici di famiglia e pediatri di libera scelta rinuncino a questo impegno.
1.5. La “visita”
Com’è oggi: attualmente la valutazione avviene con due modalità. La prima e ancora prevalente è la visita in presenza. L’interessato presenta la documentazione sanitaria specialistica aggiornata e la commissione effettua il suo esame; può anche sospendere la valutazione e richiedere approfondimenti diagnostici. La seconda, sempre più diffusa, è quella sugli atti. La persona invia telematicamente la documentazione sanitaria specialistica aggiornata e, se la commissione la ritiene esaustiva, emette i relativi verbali senza visita diretta. In caso contrario la commissione chiede integrazioni o convoca a visita diretta.
Come dovrebbe essere in futuro: la valutazione di norma avverrà sempre in presenza. Solo in casi eccezionali, che saranno definiti con uno specifico decreto, si potrà chiedere la valutazione sugli atti. La persona potrà allegare alla domanda la documentazione sanitaria ma integrarla con le stesse modalità fino a sette giorni prima della visita.
Come già detto durante la visita viene anche redatto il WHODAS: un’intervista strutturata al diretto interessato o al suo congiunto o al suo assistente.
Il decreto (rif. art. 6, comma 8) stabilisce che il procedimento di valutazione di base si concluda entro novanta giorni, nei casi riguardanti soggetti con patologie oncologiche entro quindici giorni e, nei casi di soggetti minori, entro trenta giorni dalla ricezione del certificato medico.
Osservazioni: il decreto non precisa quali siano le modalità per opporsi in caso di eventuali ritardi. È invece stabilito che le ulteriori modalità di svolgimento del procedimento, nonché le modalità di svolgimento delle riunioni delle commissioni, vengano decise da INPS, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto.
Al contempo è difficile replicare in modo sostenibile a chi esprime forti perplessità sul reale futuro rispetto dei tempi previsti, in particolare quando provengono da persone che – già nel sistema attuale teoricamente più semplice – attendono una valutazione o una revisione ben oltre i 90 giorni.
1.6. La revisione e l’aggravamento
Com’è oggi: attualmente nei verbali di invalidità e di handicap (legge 104/1992) può essere indicata una successiva data di revisione. La revisione dovrebbe essere indicata quando presumibilmente le condizioni della persona possono subire nel tempo modificazioni nel senso del miglioramento.
Rilevato l’evidente abuso del ricorso alla revisione, nel tempo il Legislatore ha tentato di contenere il fenomeno (rif. legge 80/2006 e decreto 2 agosto 2027), rafforzando l’indicazione ed elencando le situazioni in cui la rivedibilità non va prevista nemmeno per i controlli a campione che INPS effettua ordinariamente. Di conseguenza nei verbali può non essere prevista la revisione, ma non l’esclusione da verifiche a campione, oppure possono essere escluse entrambe. Oppure può essere indicato il mese e l’anno di revisione. In questo caso provvede INPS a convocare a visita (rif. articolo 25, legge 114/2014) o a richiedere documentazione sanitaria per eseguire la valutazione sugli atti (rif. articolo 29-ter del decreto legge 16 luglio 2020, n. 76).
Che sia o meno prevista la revisione nel verbale, il cittadino può in ogni caso richiedere una nuova valutazione nel caso ritenga che le sue condizioni siano peggiorate e disponga di documentazione sanitaria a supporto. L’istanza segue lo stesso iter della prima valutazione (certificato introduttivo, domanda, valutazione, nuovo verbale).
Come dovrebbe essere in futuro: il nuovo decreto 62/2024 non abroga la possibilità di prevedere la revisione nel tempo, ma rende teoricamente più stringenti le regole. Un successivo decreto (da emanare entro il 30 novembre 2024) dovrebbe stabilire quali siano le condizioni per le quali è ammessa una revisione nel tempo e quali siano le condizioni per escludere anche qualsiasi visita di controllo a campione (rif. art. 12, comma 2, lettere c e d).
Di fatto, dunque, non risponde al vero che siano soppresse le visite di revisione.
Chi è attualmente in possesso di un verbale che prevede una revisione futura, segue le attuali regole, dunque verrà rivalutato alla scadenza fissata.
Rimane ferma la possibilità per il cittadino di presentare istanza di nuova valutazione nel caso ritenga aggravata la propria condizione (rif. articolo 14).
C’è però un distinguo: se vi siano elementi e fattori, non incidenti sulle durature compromissioni e a cui consegue un innalzamento del bisogno dell’intensità dei sostegni, questi sono presi in considerazione in sede di valutazione multidimensionale al fine dell’individuazione delle prestazioni e dei servizi ad essa correlati, ferma restando l’accertata condizione di disabilità.
1.7. Il verbale (certificato)
Com’è oggi: attualmente al termine delle valutazioni delle minorazioni civili e dell’handicap (legge 104/1992) vengono definiti e inviati altrettanti verbali. I primi recano la percentuale di invalidità riconosciuta (18/67 anni), o la condizione di cecità, o quella di sordità. Nei medesimi verbali è indicata l’eventuale revisione e l’eventuale esenzione da controlli successivi. Viene inoltre annotato se ricorrono le condizioni per l’accesso ad agevolazioni fiscali (veicoli o sussidi) o per ottenere il contrassegno.
Il verbale (diagnosi funzionale ecc.) per il collocamento mirato (legge 68/1999) è un ulteriore specifico documento.
Oltre a questi documenti, per i minori è prevista anche la redazione del profilo di funzionamento (che poi servirà, ad esempio, per la redazione del PEI in ambito scolastico) che – al momento – è di competenza della ASL.
Come dovrebbe essere in futuro: al netto del fatto che il modello di documento verrà definito successivamente da INPS, al termine della valutazione di base dovrebbe essere rilasciato un certificato unico che contiene una serie di elementi, congruenti con gli aspetti esaminati. E dunque:
– la disabilità e la relativa necessità di sostegno: lieve, medio, intensivo elevato o molto elevato;
– la condizione di invalidità civile (con percentualizzazione quando previsto), cecità civile, sordità, sordocecità;
– la condizione di disabilità ai fini dell’inclusione lavorativa (legge 68/1999);
– l’individuazione degli elementi utili alla definizione della condizione di non autosufficienza, nonché di disabilità gravissima (rif. decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 26 settembre 2016);
– l’eventuale data di successiva revisione;
– l’eventuale esclusione da verifiche a campione;
– l’individuazione dei requisiti necessari per l’accesso ad agevolazioni fiscali, tributarie e relative alla mobilità (contrassegno CUDE), conseguenti all’accertamento dell’invalidità, e ad ogni altra prestazione prevista dalla legge.
In aggiunta per i minori:
– l’accertamento della condizione di disabilità in età evolutiva ai fini dell’inclusione scolastica (rif. articolo 5, decreto legislativo 66/2017).
Il decreto 62/2024 prevede che il certificato e gli elementi che l’hanno determinato confluiscano nel fascicolo sanitario elettronico e nelle banche dati gestite da INPS.
1.8. Efficacia provvisoria anticipata della valutazione di base
Com’è oggi: attualmente vi sono solo due fattispecie in cui la persona in attesa di accertamento abbia comunque diritto di accedere ad alcune agevolazioni o prestazioni. Il primo caso riguarda l’accesso ai permessi lavorativi (rif. articolo 33, legge 104/1992). Se il relativo verbale non viene definito entro 45 giorni dalla domanda è possibile farsi redigere un certificato provvisorio e ottenere i permessi lavorativi. La seconda ipotesi riguarda la concessione di protesi e ausili: in alcuni casi vi sono ammessi gli istanti in attesa di accertamento dell’invalidità. In tutti gli altri casi, anche in presenza di gravi compromissioni, finché non è definito lo status non si accede alle prestazioni o agevolazioni previste.
Come dovrebbe essere in futuro: il decreto 62/20204 stabilisce che le persone affette dalle patologie determinanti gravi compromissioni funzionali (che verranno definite con successivo decreto da emanare entro il 30 novembre 2024), attestate da certificazione rilasciata da una struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata accreditata, accedano su richiesta alle prestazioni sociali, sociosanitarie e socioassistenziali, anch’esse individuate con successivo decreto, anche prima della conclusione del procedimento valutativo di base, fatta salva la ripetizione delle prestazioni e dei sostegni in caso di conclusione di tale procedimento con esito negativo o con accertamento indicante una necessità di sostegni di minore intensità rispetto a quanto erogato.
Il relativo regolamento deve essere emanato entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto 62/2024 e quindi entro il 30 novembre 2024.
1.9. Obblighi di informazione alla persona con disabilità
L’unità di valutazione di base, al termine della visita relativa alla valutazione di base, informa la persona con disabilità e, se presente, l’esercente la responsabilità genitoriale in caso di minore, il tutore o l’amministratore di sostegno, se dotato di poteri, che, fermi restanti gli interventi, i sostegni e i benefici che direttamente spettano all’interessato a seguito della certificazione della condizione di disabilità, sussiste il diritto ad elaborare e attivare un progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato, quale ulteriore “strumento di capacitazione”.
La commissione informa anche della possibilità di presentare l’istanza per l’elaborazione del progetto di vita attraverso l’invio telematico del certificato della condizione di disabilità da parte della stessa commissione.
Dunque, a seguito dell’attività informativa al termine della visita, le persone interessate hanno facoltà di richiedere che la commissione, caricato il certificato che attesta la condizione di disabilità sul fascicolo sanitario elettronico (FSE), trasmetta il medesimo agli ambiti territoriali competenti al fine di avviare il procedimento per l’elaborazione del progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato. E questa comunicazione ha valore, a tutti gli effetti, di presentazione dell’istanza di parte per l’avvio del procedimento.
1.10. Anziani
La sorte e i procedimenti che riguarderanno gli anziani (sopra i 70 anni) è uno degli aspetti che ancora riservano maggiori coni d’ombra, anche perché in questi casi la cosiddetta riforma della disabilità si combina con la riforma della non autosufficienza (decreto legislativo 15 marzo 2024, n. 29) o, più propriamente, le “Disposizioni in materia di politiche in favore delle persone anziane”.
Il decreto 62/2024 (rif. art. 5, comma 2) statuisce che la valutazione di base “si applica anche ai minori e alle persone anziane, fermo quanto previsto dall’articolo 27, comma 11, del decreto legislativo 15 marzo 2024, n. 29 per le persone anziane non autosufficienti che abbiano superato il settantesimo anno d’età”.
Per comprendere il quadro, è dunque necessario leggere simultaneamente quanto disposto dall’articolo 27 della riforma sugli anziani. Quell’articolo entra nel merito della valutazione multidimensionale degli anziani e in particolare della non autosufficienza. Nel caso in cui le unità di valutazione rilevino la non autosufficienza trasmettono ad INPS gli elementi utili per la valutazione dell’invalidità e per l’indennità di accompagnamento. INPS provvede alla verifica e, se conferma i presupposti sanitari, eroga le relative provvidenze assistenziali.
Verrebbe dunque da supporre che l’anziano (oltre i 70 anni) possa giungere alla concessione dell’indennità di accompagnamento, ma più in generale alla valutazione di base, attraverso due percorsi. Il primo richiedendola direttamente, come per chi ha meno di 70 anni; l’altro attraverso l’invio ad INPS da parte delle unità di valutazione multidisciplinari specifiche per gli anziani.
Questa è una ipotesi che potrà essere convalidata da decreti e regolamenti successivi relativi ad entrambe le riforme che presentano, con tutta evidenza, alcuni problemi di correlazione. Esiste anche un’altra ipotesi infatti: che anche l’accertamento dell’invalidità sia delegata interamente alle unità di valutazione per la non autosufficienza.
1.11 – Principio di non regressione e tutela dei diritti acquisiti
Quello dei diritti acquisiti è forse la maggiore preoccupazione di chi è già in possesso di un verbale di invalidità, cecità, sordità o handicap (legge 104/1992).
Il decreto 62/2024 ne tratta specificamente (rif. articolo 35) pur lasciando non pochi coni d’ombra.
Gli elementi chiari sono due.
Il primo: fino al 31 dicembre 2025, alle revisioni e alle revoche delle prestazioni già riconosciute si applicano, anche nei territori in cui si svolge la sperimentazione, le condizioni di accesso ed i sistemi valutativi in vigore precedentemente alla data di entrata in vigore del presente decreto. Anche alle istanze di accertamento presentate entro la data del 31 dicembre 2025 si applicano le previgenti disposizioni.
Ad esempio: una persona è in possesso di un verbale con rivedibilità prevista per settembre 2025; viene valutato usando i precedenti criteri.
Al contempo però, se la revisione scade a gennaio 2026 o dopo, i criteri e le modalità sono quelli nuovi dettati dal decreto 62/2024.
Il secondo criterio è il mantenimento dei diritti riconosciuti dalla disciplina in vigore fino al 31 dicembre 2025. Sono anche fatte salve le prestazioni, i servizi, le agevolazioni e i trasferimenti monetari già erogati o dei quali sia comunque stata accertata la spettanza entro il 31 dicembre 2025, in materia di invalidità civile, di cecità civile, di sordità civile, di sordocecità e per quanto disposto dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104.
Tradotto: se una persona è in possesso di verbale che riconosce la titolarità dell’indennità di accompagnamento prima del 2025, quella provvidenza non viene revocata, né sospesa, né sottoposta a nuova valutazione.
Meno chiare sono altre fattispecie. Immaginiamo una persona, riconosciuta precedentemente invalida al 75% o cieca parziale, voglia richiedere dopo il primo gennaio 2026 una nuova valutazione per un evidente aggravamento. In questo caso si applicano i criteri predenti o quelli nuovi? Dalla lettura del testo sembra prevalere la seconda ipotesi.
Altro cono d’ombra riguarda i minori che al compimento della maggiore età vogliano disporre di un verbale da maggiorenni o vogliano richiedere la valutazione per la legge 68/1999. Attualmente, se sono titolari di indennità di accompagnamento, ottengono anche la pensione su richiesta e senza essere valutati nuovamente. Se sono titolari di indennità di frequenza è comunque necessaria una nuova valutazione. Dopo il 2026, con tutta probabilità, dovranno comunque essere sottoposti a nuova valutazione, con criteri differenti da quelli precedenti.
2. L’accomodamento ragionevole
Il decreto legislativo 62/2024 (rif. articolo 17) tenta di declinare e di dare applicazione al principio dell’accomodamento ragionevole espresso dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (rif. art. 2, comma 1, lettera d) e non di semplice comprensione. Ne riportiamo la definizione generale “per «accomodamento ragionevole» si intendono le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo adottati, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali”.
A questo proposito già nel 2016 il Comitato ONU sui diritti delle persone con disabilità, nel presentare le Osservazioni conclusive al Primo rapporto dell’Italia di attuazione della CRPD (Convenzione), chiedeva conto al nostro Paese (rif. raccomandazione n. 84) sulla mancata disciplina dell’accomodamento ragionevole.
Il decreto legislativo 62/2024 (rif. articolo 17) in qualche modo compensa quella lacuna.
Com’è oggi: attualmente il principio di accomodamento ragionevole trova disciplina solo nell’ambito lavorativo, anche se la concreta applicazione viene ampiamente considerata debole per una serie di motivi, pur essendo ormai datata. Il primo riferimento è di ambito europeo e lo si riscontra nella centrale direttiva CE 2000/78 che si è posta come obiettivo quello di garantire che i lavoratori non subiscano discriminazioni in ragione della religione o convinzione personale professata, disabilità, età o orientamento sessuale (quindi divieto di discriminazione diretta o indiretta). In particolare, l’articolo 5 impone al datore di lavoro di prevedere “soluzioni ragionevoli” per i lavoratori con disabilità, al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento.
L’ambito di applicazione, che vale sia nel pubblico che nel privato, investe le condizioni di accesso ad attività lavorative, inclusi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, nonché la promozione; la formazione professionale; le condizioni di occupazione e di lavoro (comprese le condizioni di remunerazione e di licenziamento); l’affiliazione e la partecipazione in un’organizzazione sindacale o in qualsiasi altra organizzazione professionale.
La direttiva afferma che il datore di lavoro deve adottare “provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato”.
Diversamente da quanto sancito dalla successiva Convenzione ONU, il rifiuto di accomodamento ragionevole non si configura esplicitamente nella direttiva come forma di discriminazione.
La direttiva 2000/78 è stata recepita dall’Italia con il decreto legislativo 9 luglio 2003 n. 216 (poi più volte modificato).
Tuttavia, fino al 2013, ovvero fino alla condanna dell’Italia da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea, non sussisteva nell’ordinamento italiano una norma che recepisse integralmente l’articolo 5 in materia di “accomodamento ragionevole”.
In seguito a quella sentenza, nel tentativo di assicurare la trasposizione corretta dell’articolo 5 della direttiva 2000/78 e, contestualmente, con l’intento di ottemperare agli obblighi imposti dalla Convenzione ONU, l’Italia è intervenuta con il decreto legge n. 76/2013 (legge di conversione n. 99/2013) e ha introdotto l’articolo 3-bis all’interno dell’originario decreto legislativo n. 216 del 2003.
Vi si stabilisce: “Al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18, nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori. I datori di lavoro pubblici devono provvedere all’attuazione del presente comma senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente”.
Il decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151 (applicativo del cosiddetto Job Act), prevede al primo articolo l’elaborazione di “linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità”. Fra gli aspetti che queste dovevano chiarire vi era “analisi delle caratteristiche dei posti di lavoro da assegnare alle persone con disabilità, anche con riferimento agli accomodamenti ragionevoli che il datore di lavoro è tenuto ad adottare”. Le “linee guida” sono state approvate solo nel 2022.
A completare il quadro dello stato dell’arte va ricordato il decreto legislativo 13 dicembre 2023, n. 222 (Disposizioni in materia di riqualificazione dei servizi pubblici per l’inclusione e l’accessibilità), che prevede il ricorso anche ad accodamenti ragionevoli per garantire l’accesso e la fruibilità, su base di eguaglianza con gli altri, dell’ambiente fisico, dei servizi pubblici, compresi i servizi elettronici e di emergenza, dell’informazione e della comunicazione, ivi inclusi i sistemi informatici e le tecnologie di informazione.
Come dovrebbe essere in futuro: come premesso, il decreto legislativo 62/2024 (rif. articolo 17) interviene sull’accomodamento ragionevole, integrando la legge 104/1992 con l’inserimento di uno specifico articolo (il 5 bis) che ne ampia innanzitutto il campo di applicazione a tutti gli ambiti pubblici, inclusi i fornitori di servizi pubblici e privati. Ciò, dunque, in aggiunta a quanto già disciplinato per l’ambito lavorativo, riprendendo in tal senso lo spirito della Convenzione ONU (rif. articolo 2).
Merita di essere riportato il primo comma: “Nei casi in cui l’applicazione delle disposizioni di legge non garantisca alle persone con disabilità il godimento e l’effettivo e tempestivo esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali, l’accomodamento ragionevole, ai sensi dell’articolo 2 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, individua le misure e gli adattamenti necessari, pertinenti, appropriati e adeguati, che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo al soggetto obbligato”.
È necessario prestare grande attenzione all’uso dei termini, anche comparandoli con quanto poi espresso nella Relazione illustrativa che accompagna il decreto, per certi versi illuminante ai fini della comprensione del testo.
Sono ad esempio rilevanti e forieri di interrogativi i termini “adattamenti necessari, pertinenti, appropriati e adeguati”, sui quali è la Relazione illustrativa a fornire qualche elemento in più di chiarezza circa le possibilità e i limiti.
Ma cos’è esattamente l’accomodamento ragionevole?
Ancora una volta dalla Relazione illustrativa abbiamo un maggiore dettaglio.
“In particolare, l’accomodamento consiste nelle modifiche e gli adattamenti necessari e appropriati che non impongano alla pubblica amministrazione, al concessionario di pubblici servizi, al soggetto privato un onere sproporzionato o eccessivo adottati, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, dei diritti civili e sociali. Di conseguenza, all’accomodamento ragionevole si deve ricorrere esclusivamente in via sussidiaria e allorquando il diritto non è in concreto pienamente esercitabile (in via esemplificativa è ipotizzabile il ricorso all’accomodamento ragionevole per garantire l’accessibilità a un treno, nelle more della predisposizione di banchine a raso, attraverso l’utilizzo temporaneo di apposito elevatore. Mentre, il pieno diritto all’accessibilità al mezzo di trasporto sarebbe garantito, invece, attraverso un accesso in via autonoma, senza ricorrere ad alcun ausilio)”.
Sembra, a tutta prima, di intendere che l’accomodamento ragionevole non dovrebbe sostituire il rispetto, ad esempio, di norme tecniche sull’accessibilità (fisica, digitale ecc.), anche se il timore è che questo possa finire per accadere. Tuttavia, l’esempio proposto sembra lasciare aperta la possibilità di ricorrere all’accomodamento ragionevole in via temporanea.
Quasi superfluo sottolineare che rimane il vincolo dell’evitare oneri sproporzionati ed eccessivi. Sul punto ancora la Relazione tecnica: “In ordine, poi, alla valutazione circa la «non onerosità» dell’accomodamento ragionevole, va precisato che la stessa è da valutare in relazione a una serie di indici, quali, secondo il Commento generale n. 6 del Comitato ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2018, la dimensione del soggetto che deve concretamente attuare la misura dell’accomodamento ragionevole, gli effetti nella sfera di terzi, le risorse rinvenienti da sussidi pubblici, i costi finanziari, etc. I fattori presi a riferimento per realizzare la valutazione di cui sopra non vanno mai considerati singolarmente, ma nella loro correlazione, perché diversamente si potrebbe correre il rischio di valorizzare un fattore (semmai negativo) a discapito di tanti altri che invece portano ad un accomodamento ragionevole più ampio”.
Venendo poi agli altri criteri: “l’accomodamento ragionevole deve essere, innanzitutto, adeguato, pertinente ed appropriato in relazione al «valore» del diritto da garantire. Da ciò consegue che lo sforzo per assicurare il pieno esercizio debba essere tanto più elevato quanto più rilevante è il bene della vita da garantire, come nel caso di diritti incomprimibili”.
Ma come si richiede l’accomodamento ragionevole? Lo può richiedere il diretto interessato o chi lo rappresenta avanzando una proposta modulata secondo i criteri appena espressi.
Il rifiuto all’accomodamento ragionevole va motivato in particolare dalle pubbliche amministrazioni.
Il decreto disciplina i possibili ricorsi nei casi di rifiuto o diniego della proposta di accomodamento ragionevole, differenti nel caso siano opposti dalla pubblica amministrazione (rif. art. 17, commi 7, 8, 9), dal concessionario di pubblici servizi (rif. art. 17, comma 10) o dal soggetto privato (rif. art. 17, comma 11).
Il rifiuto all’accomodamento ragionevole può configurarsi alla stregua della discriminazione ed è dunque possibile il ricorso in giudizio ricorrendo ai procedimenti previsti dalla legge 67/2006.
In caso di rifiuto dell’accomodamento ragionevole sarà anche possibile chiedere al Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità di verificare la discriminazione per rifiuto di accomodamento ragionevole, proponendo o sollecitando, anche attraverso l’autorità di settore o di vigilanza, accomodamenti ragionevoli idonei a superare le criticità riscontrate.
Il Garante inoltre può, nei soli confronti della pubblica amministrazione, emettere una proposta di accomodamento ragionevole.
3. La valutazione multidimensionale
Il Capo III del decreto legislativo 62/2021 definisce la valutazione multidimensionale e il progetto di vita individuale personalizzato e partecipato.
3.1. Il perimetro del progetto di vita
Come detto, la valutazione multidimensionale e il conseguente progetto di vita, si attivano dopo la conclusione della valutazione di base su richiesta del diretto interessato o di chi lo rappresenta.
Secondo gli intenti espressi dal decreto (rif. articolo 18), il progetto di vita dovrebbe rispondere ai bisogni e alle aspirazioni della persona con disabilità, facilitandone l’inclusione sociale e la partecipazione nei diversi contesti di vita su base di uguaglianza con gli altri.
In modo congruente e adeguato, dovrebbe individuare per qualità, quantità e intensità gli strumenti, le risorse, gli interventi, i benefici, le prestazioni e i servizi volti a supportare la persona nei diversi ambiti di vita, anche eliminando eventuali ostacoli.
Il Legislatore sottolinea già nella definizione il fatto che sia individuale e personalizzato, ma anche partecipato, cioè dovrebbe garantire il massimo coinvolgimento della persona (o di chi la rappresenta) nella sua elaborazione.
Nel progetto di vita possono essere integrate anche le misure previste per il superamento delle condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale, nonché gli eventuali sostegni erogabili in favore del nucleo familiare e di chi presta cura e assistenza, i cd. caregiver familiari (rif. art. 18, comma 4). Tali ultimi sostegni sono previsti in quanto il lavoro di cura e assistenza ricade, per la maggior parte, sui familiari che sono, molte volte, costretti a rinunce non solo personali ma anche lavorative, con conseguente riduzione del reddito familiare complessivo.
Il progetto di vita (rif. art. 18, comma 4) dovrebbe essere sostenibile nel tempo, cioè garantire continuità degli strumenti, delle risorse, degli interventi, dei benefici, delle prestazioni, dei servizi e degli accomodamenti necessari. Va da sé che la condizione della sostenibilità – prevedibile – diventa il primo elemento perché il progetto possa essere ammesso o meno, ritenuto adeguato e congruente o meno. Si pone quindi già un problema di risorse disponibili.
Anche l’articolo successivo (il 19) sembra affrontare il tema (la preoccupazione) delle risorse. Traspare, infatti, come si voglia evitare che il progetto di vita sia la semplice somma di una serie di piani di interventi previsti per i vari comparti (quali PEI scolastico, PAI socio-assistenziale, Piano riabilitativo individuale sanitario ecc.). Dunque, si stabilisce che gli stessi siano sinergicamente coordinati. Diversamente, come ci dice la Relazione illustrativa, si correrebbe il rischio di:
“a) prevedere interventi con approcci tra di loro contrastanti (si pensi al caso di un approccio educativo seguito dall’assistente specialistico per l’autonomia e la comunicazione in ambito scolastico diverso da quello seguito dallo specialista del servizio educativo comunale a domicilio; è evidente in tale caso che l’efficacia degli interventi programmati singolarmente si annullerebbe reciprocamente con un inutile esborso economico);
b) prevedere interventi sovrapponibili (si pensi all’intervento di assistenza domiciliare integrata a carico della ASL e l’intervento di assistenza integrata socio-assistenziale a carico dell’ente locale, che prevedono l’espletamento di alcune identiche prestazioni);
c) assicurare che alcune prestazioni non siano erogate in fasce orarie tra loro sovrapponibili con la conseguenza di minore fruizione della prestazione dei servizi (si pensi all’erogazione dell’attività riabilitativa durante l’orario di frequenza scolastica)”.
In sostanza si mira all’integrazione dei differenti profili in ambito sanitario e sociale all’interno del progetto di vita, attraverso la collegialità della valutazione multidimensionale.
3.2. Libertà di abitare
L’articolo 20 del decreto riprende le indicazioni dell’articolo 19 della Convenzione ONU relativamente alla libertà della persona con disabilità di scegliere il luogo dove vivere e con chi vivere. Va segnalata la locuzione specifica nel testo: “Il progetto di vita tende a favorire la libertà della persona con disabilità di scegliere dove vivere e con chi vivere (…)”.
In tal senso dovrebbe, secondo il decreto, essere garantita la continuità di sostegni, interventi e prestazioni (inclusa l’assistenza personale) previsti dal progetto di vita anche in caso di modifiche del luogo di abitazione, così da soddisfare il più possibile le esigenze e le scelte della persona con disabilità, e tenendo conto della specificità del contesto.
Purtroppo, l’articolo pone un limite a questa “libertà”: in caso dell’impossibilità di assicurare l’intensità degli interventi o la qualità specialistica necessaria, in termini di appropriatezza. Ancora una volta vi è una questione di disponibilità di risorse e quindi di sostegni.
Il comma 4 prevede che, se già esistenti prima dell’elaborazione del progetto individuale, rimangono salvi i singoli sostegni, servizi o piani di intervento, ma pone la precauzione di riallinearli dentro il più ampio contenitore del progetto di vita e con eventuali nuovi sostegni e piani aggiuntivi.
Osservazioni: il testo dell’articolo 20 (come già, d’altra parte, la legge delega 227/2022) non reca indicazioni specifiche e di priorità per chi attualmente viva situazioni segreganti.
3.3. L’autodeterminazione e la partecipazione
L’articolo 20 del decreto esprime l’indicazione secondo cui il procedimento di valutazione multidimensionale, di redazione e di monitoraggio del progetto di vita si adegui al principio di autodeterminazione e assicuri la partecipazione attiva della persona con disabilità all’intero procedimento di valutazione multidimensionale, di redazione e di monitoraggio del progetto di vita con l’adozione di strategie e, nei limiti delle risorse disponibili. In tal senso viene previsto il ricorso a strumenti o soluzioni, finalizzati a facilitare la comprensione delle fasi del procedimento e di quanto proposto per supportare l’adozione di decisioni e la manifestazione di desideri, aspettative e scelte, anche attraverso la migliore interpretazione possibile degli stessi (rif. articolo 21).
Per l’attuazione di queste soluzioni e prassi sono escluse risorse aggiuntive.
Per un miglior coinvolgimento e comprensione è previsto che l’interessato possa essere affiancato da una persona di sua fiducia o da un componente della stessa unità di valutazione (rif. articolo 22).
3.4. L’avvio del procedimento
Come avviene l’avvio del procedimento di valutazione multidimensionale e di elaborazione del progetto?
Il decreto (rif. articolo 23) prevede varie modalità possibili. Come già detto, l’iter può essere innescato al termine dalla valutazione di base, ma può essere attivato anche in un momento successivo dall’interessato o da chi lo rappresenta.
L’istanza può essere presentata anche per tramite del comune di residenza o del punto unico di accesso (PUA) della Casa di Comunità di riferimento. Le regioni possono inoltre individuare ulteriori “punti di ricezione”.
L’istanza può essere corredata della documentazione utile ai fini dell’elaborazione del progetto di vita, ma non è previsto che questo sia un elemento essenziale e necessario, né una condizione di procedibilità.
Lo stesso articolo ammette anche l’ipotesi che l’istanza possa essere accompagnata da una proposta di progetto di vita.
Le persone che sono in possesso dei “vecchi” verbali di handicap (legge 104/1992), possono accedere a questo iter senza richiedere preliminarmente la valutazione di base eseguita con i nuovi criteri (rif. art. 35, comma 4).
Il decreto prevede che l’avvio del procedimento sia comunicato entro sette giorni dalla presentazione dell’istanza o da quando venga trasmesso il certificato di disabilità da parte dell’unita di valutazione di base al comune di residenza (rif. art. 23, comma 4).
Attenzione: i sette giorni si riferiscono all’avvio del procedimento, non alla reale valutazione multidimensionale, né all’elaborazione del progetto.
La persona con disabilità può rinunciare in ogni momento al progetto di vita senza che tale rinuncia costituisca preclusione al diritto di ripresentare istanza per l’avvio di un nuovo procedimento.
3.5. Le unità valutative multidimensionali
L’articolo 24 del decreto descrive la composizione e le funzioni delle unità valutative multidimensionali preposte all’elaborazione del progetto di vita.
In linea generale l’unità valutativa multidimensionale è delineata tentando un punto di equilibrio tra il fine di ottenere una partecipazione larga, estesa e plurale e multidisciplinare nel predisporre l’insieme dei sostegni e delle tutele assistenziali, e – per converso – l’obiettivo di non rendere le commissioni organismi pletorici e dunque di difficile e lento funzionamento. Questo l’intento.
L’unità di valutazione multidimensionale è sostanzialmente formata da due tipologie di componenti: i componenti necessari (rif. art. 24, comma 2) e i componenti su richiesta della persona con disabilità o di chi la rappresenta (rif. art. 24, comma 3), anche in funzione dell’età della persona con disabilità.
Sono componenti necessari dell’unità di valutazione multidimensionale:
- la persona con disabilità e chi la rappresenta;
- la persona che supporta nel procedimento, se nominato dall’interessato;
- un assistente sociale, un educatore o un altro operatore dei servizi sociali territoriali;
- uno o più professionisti sanitari designati dall’Azienda Sanitaria o dal Distretto sanitario, col compito di garantire l’integrazione sociosanitaria, uno dei quali assume il compito di coordinatore dell’unità;
- un rappresentante dell’istituzione scolastica in caso di soggetti in età scolare;
- il medico di medicina generale o il pediatra di libera scelta della persona con disabilità, senza oneri a carico della finanza pubblica, cioè senza compensi.
- Interviene anche un membro dei servizi per l’impiego nel caso in cui la valutazione di base abbia accertato la collocabilità lavorativa.
Gli altri componenti “a partecipazione” sono individuati su richiesta e indicazione della persona con disabilità e collaborano su richiesta della persona con disabilità e senza oneri a carico della pubblica amministrazione.
Possono partecipare su richiesta dell’interessato:
- il coniuge, un parente, un affine, una persona con vincoli di cui alla legge 20 maggio 2016, n. 76 (coppie di fatto, unioni civili), o il caregiver familiare;
- un medico specialista o specialisti dei servizi sanitari o sociosanitari;
- un rappresentante di associazione, fondazione, agenzia o altro ente con specifica competenza nella costruzione di progetti di vita, anche del terzo settore;
- referenti dei servizi pubblici e privati presso i quali la persona con disabilità fruisce di servizi o prestazioni, anche informale.
3.6. Le regioni
Le unità di valutazione multidimensionale agiscono già da anni nei servizi sanitari regionali svolgendo varie funzioni propedeutiche alla concessione di misure economiche, sostegni, servizi relativi alla disabilità e alla non autosufficienza, spesso con criteri e modalità differenti a seconda del tipo di sostegno. Questo però spesso deriva anche dalle differenti indicazioni che giungono dai Ministeri in occasione dei decreti di riparto di differenti fondi (es. Fondo caregiver familiari, Fondo non autosufficienza, Fondo “dopo di noi” ecc.).
Il decreto 62/2024 (rif. art. 24, comma 4) prevede che entro il 30 novembre le regioni, al fine della predisposizione del progetto di vita, programmino e stabiliscano le modalità di riordino e unificazione, all’interno delle unità di valutazione multidimensionale, delle attività e dei compiti svolti dalle stesse per:
a) l’individuazione di prestazioni e trasferimenti monetari connessi alla condizione di non autosufficienza, eccettuata quella dei soggetti anziani;
b) l’individuazione di prestazioni e trasferimenti monetari connessi alla condizione di disabilità gravissima (rif. decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 26 settembre 2016);
c) l’individuazione delle misure di sostegno ai caregiver familiari;
d) la redazione dei progetti individuali di cui all’articolo 14 della legge 8 novembre 2000, n. 328;
e) l’individuazione dei servizi, degli interventi e delle prestazioni per il “dopo di noi” (rif. articolo 4, legge 22 giugno 2016, n. 112).
Sempre entro il 30 novembre le regioni hanno il compito di stabilire, nell’ambito della programmazione e dell’integrazione sociosanitaria, le modalità con le quali, nel caso di predisposizione del progetto di vita, le unità di valutazione multidimensionale che operano per i LEA (rif. articolo 21, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017), le unità di valutazione che operano presso le Case di Comunità per definire i bisogni terapeutico-riabilitativi e assistenziali della persona (rif. decreto del Ministro della salute 23 maggio 2022, n. 77) e le unità di valutazione incaricate per il progetto di vita previsto dal decreto 62/2024 si coordinino fra loro, per garantire l’unitarietà della presa in carico e degli interventi di sostegno. Anche su questo non ci sono risorse aggiuntive.
Uno sforzo notevole di integrazione sociosanitaria che si insegue da anni, su cui vi sono forti rischi di differenziazioni territoriali, poiché tale intervento finisce per impattare sugli assai diversi welfare regionali.
3.7. La valutazione multidimensionale
Quali ambiti investe, quali procedimenti segue, da quali principi è informata la valutazione multidimensionale? Lo indica sommariamente il decreto all’articolo 25.
Multidimensionale significa che riguarda i vari aspetti della vita quotidiana della persona, i vari “domini” per usare la terminologia propria dell’ICF. Ed è proprio a questa classificazione, oltre che all’ICD (la classificazione delle malattie) che la valutazione si ispira per un approccio bio-psico-sociale, non solo sanitario dunque. Con tutta evidenza sono necessarie differenti figure professionali che dovrebbero essere formate in modo omogeneo.
In ogni caso il procedimento prevede quattro differenti fasi.
La prima: nel rispetto dell’esito della valutazione di base, da un lato dovrebbero essere rilevati gli obiettivi della persona secondo i suoi desideri e le sue aspettative, dall’altro va definito l’effettivo profilo di funzionamento, anche in termini di capacità e performance dell’ICF, nei differenti ambiti di vita liberamente scelti;
La seconda fase individua le barriere e i facilitatori negli ambiti di vita che riguardano il progetto e le competenze adattive della persona.
La terza fase formula le valutazioni inerenti all’effettivo profilo di salute fisica, mentale, intellettiva e sensoriale, ai bisogni della persona e ai domini della qualità di vita, in relazione alle priorità espresse della persona con disabilità.
La quarta fase definisce gli obiettivi da realizzare con il progetto di vita; prima però effettua un censimento di eventuali piani specifici di sostegno già attivati e dei loro obiettivi, cioè di tutto quanto è stato eventualmente già concesso. Sono inclusi anche i piani o programmi di ambito sanitario.
Nel caso di minori, la valutazione multidimensionale considera anche il profilo di funzionamento redatto ai fini scolastici (rif. art. 5, comma 4, decreto legislativo n. 66/2017).
Il decreto stabilisce che ciascuna fase sia svolta collegialmente (rif. art. 25, comma 4), ferma restando la possibilità di delegare ad uno dei componenti dell’unità di valutazione specifici compiti. Ciò lascia presumere che la valutazione multidimensionale non si esaurisca in una semplice seduta.
3.8. Forma e contenuto del progetto di vita
Sulla base degli esiti della valutazione multidimensionale viene predisposto il progetto di vita che individua i sostegni, il budget di progetto e gli eventuali accomodamenti ragionevoli (rif. art. 26, comma 1).
Nel caso in cui la persona con disabilità o chi la rappresenta abbia presentato una proposta di progetto di vita, l’unità di valutazione multidimensionale ne verifica l’adeguatezza e l’appropriatezza e, contestualmente, definisce il budget di progetto.
Il progetto di vita è formalizzato in un documento finale che comprende una serie di elementi:
a) gli obiettivi della persona con disabilità risultanti all’esito della valutazione multidimensionale;
b) gli interventi individuati nelle aree apprendimento, socialità e affettività; formazione, lavoro; casa e habitat sociale; salute;
c) i servizi, le misure relative ai processi di cura e di assistenza, gli accomodamenti ragionevoli volti a perseguire la migliore qualità di vita e a favorire la partecipazione della persona con disabilità nei diversi ambiti della vita, nonché i sostegni e gli interventi idonei e pertinenti a garantire la piena inclusione e il godimento, sulla base di uguaglianza con gli altri, dei diritti civili e sociali e delle libertà fondamentali; sono incluse anche le prestazioni di natura sanitaria e sociosanitaria previste dai LEA (rif. decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017);
d) i piani operativi e specifici individualizzati delle azioni e dei sostegni correlati agli obiettivi del progetto, con indicazione di eventuali priorità, o, nel caso di piani già esistenti, il loro riallineamento, anche in termini di obiettivi, prestazioni e interventi;
e) gli operatori e le altre figure coinvolte nella fornitura dei sostegni indicati con la precisazione di compiti e responsabilità;
f) il referente per la sua attuazione;
g) la programmazione dei tempi e le modalità delle verifiche periodiche e di aggiornamento, anche al fine di controllare la persistenza e l’adeguatezza delle prestazioni rese rispetto agli obiettivi;
h) il dettaglio e l’insieme delle risorse umane, professionali, tecnologiche, strumentali ed economiche, pubbliche, private e del terzo settore, già presenti o attivabili anche in seno alla comunità territoriale, alla rete familiare, nonché al sistema dei supporti informali, che poi compongono il budget di progetto.
Nel progetto di vita sono definite le sfere di competenza e le attribuzioni di ciascun soggetto coinvolto nella sua attuazione, inclusi gli enti del terzo settore. Da questo particolare discende un aspetto amministrativo e formale di non poco conto: i soggetti cui è attribuita l’attuazione dei singoli interventi, previa adozione dei relativi atti, anche amministrativi, lo approvano e lo sottoscrivono.
Il progetto è ovviamente sottoscritto dalla persona con disabilità, secondo le proprie capacità comunicative, o da chi ne cura gli interessi.
Il progetto di vita è soggetto ad aggiornamento anche su richiesta dalla persona con disabilità o di chi la rappresenta, oltre alle verifiche periodiche programmate a cui la persona deve collaborare ed essere disponibile.
Nel caso la persona con disabilità si trasferisca in un’altra regione, il progetto va riformulato dopo una nuova valutazione multidimensionale.
Lo stesso progetto viene rimodulato nel caso si modifichino i contesti di vita o di residenza (esempio, ci si trasferisce dalla propria abitazione di origine ad una casa alloggio o ad una soluzione di co-housing). Tendenzialmente deve essere garantita la continuità dei sostegni.
Osservazioni: non si rilevano nel testo modalità per il contenimento dei conflitti o modalità per eventuali ricorsi nel caso in cui la persona non concordi con la valutazione multidimensionale oppure non concordi sulla elaborazione del progetto o sul budget di progetto. In questo scenario la persona (forse proprio in conseguenza alla enfatizzata partecipazione) può solo sottoscrivere il progetto, che include il budget, o rinunciare al progetto.
3.9. Il budget di progetto
Questo è forse l’aspetto più rilevante per intendere la reale ampiezza e praticabilità dei diversi progetti di vita. Si riferisce infatti – ancora una volta – alle risorse disponibili a livello nazionale e, soprattutto, nei diversi contesti, e a quante possano essere messe effettivamente a disposizione per la reale attuazione, giacché il timore più evidente è che possa essere il budget possibile ad influenzare la redazione del progetto di vita e non viceversa.
Ma vediamo quali sono i contenuti e come viene definito il budget di progetto dal decreto 62/2024 (rif. art. 38, comma 1, e art. 2, comma 1, lettera p).
Testualmente il “budget di progetto (…) è costituito, in modo integrato, dall’insieme delle risorse umane, professionali, tecnologiche, strumentali ed economiche, pubbliche e private, attivabili anche in seno alla comunità territoriale e al sistema dei supporti informali”. Dunque, è profondamente erroneo immaginare il “budget” come una cifra, o una quantificazione economica. Al contrario dovrebbe considerare servizi, trasferimenti, supporti (anche quelli già attivati) a disposizione della persona e funzionali al suo progetto. Teoricamente utile alla persona, ma anche ad evitare duplicazioni e sovrapposizioni. È in questo senso che il budget viene predisposto secondo i principi della coprogrammazione, della coprogettazione con gli enti del terzo settore, dell’integrazione e dell’interoperabilità nell’impiego delle risorse e degli interventi pubblici e, se disponibili, degli interventi privati.
Come già detto, non è una “somma” di misure e sostegni, ma piuttosto un coordinamento di tutti questi. Non a caso si precisa che il budget di progetto dovrebbe essere caratterizzato da flessibilità e dinamicità, al fine di integrare, ricomporre, ed eventualmente riconvertire, l’uso di risorse pubbliche, private ed europee.
Il termine “ricomporre” restituisce l’idea che vogliano essere evitate sovrapposizioni, reali o possibili. Il budget di progetto costituisce parte integrante del progetto di vita e viene adeguato in funzione dei progressivi aggiornamenti.
Nel budget (rif. art. 28, comma 4) confluiscono e si ricompongono anche gli interventi derivanti da Fondi già esistenti di cui la persona possa avere accesso e diritto: quelli del Fondo per la non autosufficienza, del Fondo per i caregiver familiari (nel 2024 non è stato rifinanziato) e del Fondo per il “dopo di noi” (legge 112/2016). Nel budget vengono considerate anche le misure e i sostegni attivati in ambito di diritto allo studio universitario grazie allo specifico Fondo (rif. art. 5, comma 1, lettera a), legge 24 dicembre 1993, n. 537). Attenzione: quanto disposto non significa che i Fondi – già esistenti e disciplinati – confluiscano in qualche altro Fondo, ma che le misure e i sostegni che da questi derivano, sono derivati o possono derivare sono considerati (potremmo dire “conteggiati”) nel budget di progetto.
Il decreto ammette e prevede che la persona con disabilità possa partecipare volontariamente alla costruzione del budget, conferendo risorse proprie, nonché valorizzando supporti informali (ad esempio la presenza di un caregiver familiare, di una rete informale della sua comunità di appartenenza ecc.). Insomma: può metterci del suo e farlo valorizzare.
Il decreto, tuttavia, è fermo nel precisare (rif. art. 28, comma 7) che è fatta salva la disciplina della compartecipazione al costo per le prestazioni laddove prevista (rif. decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159), e dunque il riferimento al regolamento attuale sull’ISEE.
Il decreto 62/2024 (rif. art. 28, comma 8) prevede anche la possibilità che la persona possa autogestire il budget con l’obbligo di rendicontare secondo quanto preventivamente previsto nel progetto, nel rispetto delle modalità, dei tempi, dei criteri e degli obblighi di comunicazione definiti con regolamento del Ministro per le disabilità. L’atto deve essere emano entro fine agosto 2024.
Osservazioni: il budget di progetto e dunque l’attuazione del progetto di vita rientra di fatto fra i diritti finanziariamente condizionati, come già lo era il progetto individuale previsto dall’articolo 14 della legge 328/2000.
Sicuramente con il nuovo decreto diviene evidente che la valutazione multidimensionale e l’elaborazione del progetto di vita sono un diritto, un livello essenziale di processo, ma è escluso che per l’attuazione del progetto si possano eludere i limiti di bilancio e di risorse.
Illuminante in tal senso l’osservazione del Ministero dell’economia, in sede di analisi del provvedimento e della Relazione tecnica, e la successiva risposta del Ministro per le disabilità (agli atti della Camera )
Annota e chiede il Ministero dell’economia:
“Pur convenendo che il progetto di vita individuale appare in linea di massima, per tipologie di interventi e finalità perseguite, riconducibile all’attuale progetto individuale per le persone disabili, andrebbe confermato che il contenuto delle singole prestazioni, che costituiscono il livello essenziale delle prestazioni, non venga modificato in senso incrementativo, anche alla luce del maggiore ruolo rivestita dalla persona con disabilità, abilitata ad esercitare «le prerogative volte ad apportare [al progetto di vita] le modifiche ed integrazioni, secondo i propri desideri, le proprie aspettative e le proprie scelte». Tale previsione, in particolare, induce a ritenere opportuno un supplemento di valutazione in ordine all’asserzione della RT [Relazione tecnica, NdR] che la norma sia «insuscettibile di determinare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»”.
Risponde ufficialmente il Ministro per le disabilità:
“Si fa presente che le disposizioni in merito al progetto di vita sono già state introdotte dall’articolo 14 della legge 328/2000, nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente. Pertanto, la disposizione in argomento non può che attuarsi nei limiti di quanto già disposto dall’ordinamento vigente, senza che dalla partecipazione della persona con disabilità al procedimento di valutazione multidimensionale e di definizione del progetto di vita discendano effetti incrementativi sul piano finanziario e/o delle prestazioni erogate”
Nella sostanza e in tutta evidenza si conferma formalmente che, per la realizzazione dei progetti di vita, non vi saranno risorse aggiuntive e fenomeni di aumento della spesa pubblica.
3.10. Referente per l’attuazione del progetto di vita
Saranno le regioni a definire il profilo del referente per l’attuazione del progetto di vita (rif. articolo 29). Il decreto non precisa entro quando e la perentorietà dei relativi atti. Anche per questi atti si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Ciò nonostante, il decreto indica quali dovrebbero essere i compiti del referente:
a) curare la realizzazione del progetto e dare impulso all’avvio dei servizi, degli interventi e delle prestazioni in esso previsti;
b) assistere i responsabili e i referenti degli interventi, dei servizi e delle prestazioni, secondo quanto indicato nel progetto di vita, anche al fine di assicurare il coordinamento tra i singoli servizi o piani operativi;
c) curare il monitoraggio in corso di attuazione del progetto, raccogliendo, se del caso, le segnalazioni trasmesse dai terzi [così nel testo, NdR];
d) garantire il pieno coinvolgimento della persona con disabilità e del suo caregiver o di altri familiari nel monitoraggio e nelle successive verifiche;
e) richiedere la convocazione dell’unità di valutazione multidimensionale al fine di rimodulare il progetto di vita.
3.11. Fondo per l’implementazione dei progetti di vita
L’articolo 31 del decreto 62/2024 istituisce il Fondo per l’implementazione dei progetti di vita che risulta finanziato con 25 milioni di euro a decorrere dal 2025.
Le risorse del Fondo – è bene sottolinearlo – sono integrative e aggiuntive rispetto alle risorse già destinate a legislazione vigente per le prestazioni e i servizi in favore delle persone con disabilità che confluiscono nel budget di progetto. Dovrebbero essere quindi riservate all’attivazione di interventi, prestazioni e sostegni non rientranti nelle unità di offerta del territorio di riferimento.
Le risorse del Fondo saranno annualmente ripartite – con apposito decreto – tra le regioni, sulla base della rilevazione, effettuata entro il 28 febbraio di ogni anno, dei fabbisogni inerenti all’implementazione dei progetti di vita del territorio.
Negli stessi decreti saranno stabilite le priorità di intervento, le modalità di erogazione e le modalità di monitoraggio e di controllo dell’adeguatezza delle prestazioni rese.
Si tratta di un presupposto inseguito anche per altri Fondi ma che sovente si scontra con le profonde diversità dei welfare regionali, dei loro tempi di risposta e della qualità dei dati restituiti.
3.12. Coordinamento per l’integrazione delle programmazioni sociali e sanitarie nazionali e regionali
L’articolo 30 disciplina il coordinamento per l’integrazione delle programmazioni sociali e sanitarie nazionali e regionali.
Le regioni, sulla base della rilevazione dei fabbisogni emersi dalle valutazioni multidimensionali e delle verifiche dell’adeguatezza delle prestazioni rese, anche tenendo conto di quanto richiesto come risorse integrative a valere sul Fondo per l’implementazione dei progetti di vita, co-programmano annualmente con gli enti del terzo settore gli strumenti correttivi di integrazione dei propri interventi sociali e sanitari.
Ciò può essere ragione di differenze territoriali.
Al Ministro per le disabilità viene affidato il compito di promuovere annualmente il coordinamento e la programmazione integrata delle politiche nazionali sociali e sanitarie in favore delle persone con disabilità.
Per assolvere a questo compito si avvale di un tavolo di confronto con il Ministero della salute, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la Rete della protezione e dell’inclusione sociale (rif. articolo 21, decreto legislativo 15 settembre 2017, n. 147), la Commissione Salute nell’ambito della Conferenza Stato Regioni e le parti sociali e le organizzazioni maggiormente rappresentative delle persone con disabilità.
Per completezza va segnalato l’intento espresso dell’articolo 37 di individuare congruenti livelli essenziali delle prestazioni e le modalità di integrazione degli stessi con i livelli essenziali di assistenza, in via graduale e progressiva, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente, e con i meccanismi e nei contesti in cui è possibile tale elaborazione (dunque Cabina di regia per la determinazione dei LEP, raccordo con i Ministri dell’economia e delle finanze, della salute, del lavoro e delle politiche sociali, degli affari regionali e le autonomie, previa intesa in sede di Conferenza unificata).
Un percorso tutt’altro che semplice e veloce.
4. La formazione e la sperimentazione
4.1. La formazione
La realizzazione degli intenti del decreto, in particolare delle parti relative alla valutazione multidimensionale e all’elaborazione del progetto di vita, presuppone una formazione degli attori coinvolti direttamente o per singole parti. È necessario anche che la formazione sia diffusa e omogenea sul territorio nazionale in modo da evitare difformità operative e applicative che poi avrebbero una ricaduta sui diretti interessati.
Il decreto legislativo 62/2024 (rif. articolo 32) definisce i destinatari di questa formazione in modo ampio ma generico: i soggetti coinvolti nella valutazione di base nonché del personale delle unità di valutazione multidimensionale e dei servizi pubblici scolastici, della formazione superiore, sociali, sanitari e lavorativi.
La definizione dei possibili soggetti è molto più ampia nel successivo decreto-legge 31 maggio 2024, n. 71 (rif. articolo 9 e Allegato B) – che considera, ad esempio, anche operatori INPS e INAIL, operatori di sindacati, rappresentanti della Conferenza episcopale italiana per enti riconosciuti. La Relazione tecnica al decreto legge descrive compiutamente la suddivisione dei discenti per gruppi (es. operatori dei comuni 790 persone, insegnanti di sostegno, 798; organizzazioni sindacali, 45 ecc.)
L’articolo 32 stabilisce che sarà un decreto di natura regolamentare del Ministro per le disabilità a definire
a) iniziative formative di carattere nazionale congiunte per la fase della valutazione di base, nonché rivolte al personale dell’unità di valutazione multidimensionale, dei servizi pubblici e del terzo settore;
b) trasferimenti di risorse alle regioni per formazione di carattere territoriale, previa predisposizione di un piano, e relativa attività di monitoraggio.
Il decreto dovrebbe essere emanato entro fine agosto 2024, ma nelle more della sua approvazione va segnalato come il già citato decreto-legge 31 maggio 2024 (articolo 9) anticipa indicazioni operative per la formazione negli ambiti territoriali luogo della sperimentazione che dovrebbe interessare un massimo di 2500 persone.
La competenza di “regia” e logistica della formazione è affidata al Dipartimento per le politiche in favore delle persone con disabilità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Questo si avvale di 30 esperti individuati tra personalità della scienza, del mondo universitario, delle associazioni del terzo settore operanti in favore delle persone con disabilità o, comunque, tra persone con esperienza in materia di disabilità.
Ma si avvale anche di Formez PA – Centro servizi, assistenza, studi e formazione per l’ammodernamento delle Pubbliche Amministrazioni, in qualità di società in house della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Il Dipartimento può stipulare protocolli di intesa e convenzioni con le amministrazioni, gli enti e le associazioni destinatari delle attività formative.
Come detto i destinatari del primo intervento formativo sono 2500 operatori; non sono previsti compensi, né formalmente obbligatorietà. Il decreto ammette rimborsi spese per gli spostamenti.
Tornando al decreto 62/2024 l’articolo 32 destina risorse alla formazione, da ripartire alle regioni, nella misura di 20 milioni nel 2024 e di 30 milioni nel 2025, prima cioè dell’entrata a regime dell’intero impianto del decreto (2026), ma anche prima della fase di sperimentazione. Il decreto-legge 71/2024 ne impegna solo una parte, e la spiegazione la si riscontra nella Relazione tecnica allo stesso decreto: la popolazione interessata ha una incidenza inferiore al 20% previsto inizialmente.
Il decreto dedica il 2025 alla sperimentazione delle disposizioni operative previste e quindi, una parte della sperimentazione riguarda la valutazione di base, l’altra, correttamente, investe la valutazione multidimensionale e i progetti di vita. La sperimentazione dura 12 mesi. La sperimentazione (rif. articolo 33) riguarda alcuni ambiti territoriali individuati secondo il principio di differenziazione geografica tra Nord, Sud e centro Italia e di differenziazione di dimensioni territoriali.
Il decreto-legge 31 maggio 2024, n. 71 (rif. articolo 9, comma 1) – approvato prima ancora dell’entrata in vigore del decreto legislativo 62/2024 (il 30 giugno 2024, secondo l’articolo 40 del decreto stesso) – ha gia individuto gli ambiti territoriali in cui verrà svolta la sperimentazione: Brescia, Catanzaro, Firenze, Forlì-Cesena, Frosinone, Perugia, Salerno, Sassari e Trieste. Sono le nove province, concordate con il Ministero della Salute e il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
I criteri di dettaglio adottati per l’individuazione di quelle province è descritta nella Relazione tecnica al decreto legge 71/2024. I criteri adottati comunque non sono quelli inizialmente previsti: sono ben al di sotto del 20% della popolazione residente (9.92%). Infatti la Relazione tecnica precisa “La sperimentazione di cui alla presente disposizione riguarda, quindi, una percentuale inferiore rispetto a quella interessata da ciascuna delle due sperimentazioni previste dal Decreto legislativo, articolo 33, commi 1 e 2; la relativa relazione tecnica, infatti, prevedeva che ciascuna riguardasse una percentuale complessiva del 20% della popolazione residente. Anche l’impatto sui saldi della finanza pubblica era stato stimato in tale relazione tecnica, e coperto dal decreto legislativo n. 62/2024, in misura corrispondente alla più elevata percentuale del 20%.” Non è dato capire se nel dimezzamento della percentuale abbiano inciso aspetti tecnici o scelte di altra natura.
Per ambedue le sperimentazioni il decreto 62/2024 prevede che siano volti “all’applicazione provvisoria e a campione”. Questa precisazione lascia aperte varie considerazioni. Molto probabilmente la sperimentazione non riguarda tutta la popolazione con disabilità che richiede nuove valutazioni, ma solo una parte di queste individuate a campione (a estrazione o secondo altri criteri, non è ancora chiarito).
Vi è poi il riferimento alla provvisorietà che non è chiaro: gli esiti delle valutazioni sono provvisori per il cittadino? O sono definitivi? Il cittadino può rifiutare di essere oggetto di sperimentazione? Forse questi aspetti verranno chiariti in seguito.
C’è una ulteriore riflessione. Come detto per la sperimentazione è prevista la durata di un anno che inizia il primo gennaio 2025. Il decreto prevede naturalmente una valutazione degli esiti della sperimentazione che potrebbe iniziare non prima dell’inizio del 2026. La valutazione potrebbe suggerire modificazioni del decreto legislativo 62/2024. In tal senso opportunamente la legge delega (rif. articolo 2, comma 4 legge 227/2021) prevede che “entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, possono essere adottati, pur con una procedura semplificata, decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi previsti dalla stessa legge delega.”
Questo lascia agevolmente intuire che con tutta probabilità il nuovo impianto non entrerà affatto in vigore il primo gennaio 2026.
Per avviare la sperimentazione della valutazione di base ad INPS è autorizzata una spesa di 7.146.775 per l’anno 2024 e di euro 71.629.183 per l’anno 2025 per le relative assunzioni di personale. A questo si aggiungono euro 2.483.256 per l’anno 2024, di cui euro 2.086.769 per la gestione delle procedure concorsuali ed euro 396.487 per le spese di funzionamento, ed una spesa pari ad euro 1.625.593 per l’anno 2025 ed una spesa pari ad euro 1.625.593 per l’anno 2025 (rif. articolo 9, comma 7).
A queste cifre, sempre per il 2025, vanno aggiunti 6,6 milioni di euro per gli oneri derivanti dalla partecipazione alle unità di valutazione di base di un professionista sanitario in rappresentanza delle Associazioni di categoria (ANMIC, ENS, UICI, ANFFAS). L’importo viene indicato come limite massimo, il che lascia supporre che verranno compensate solo le effettive partecipazioni. L’importo poi salirà a 32,8 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2026.
Per la valutazione multidimensionale è invece previsto l’uso del Fondo per l’implementazione dei progetti di vita e dunque 25 milioni. Il decreto sottolinea che queste risorse sono integrative e aggiuntive rispetto alle risorse già destinate a legislazione vigente “per sperimentare prestazioni e servizi personalizzati”.
5. Le risorse
Dedichiamo questa ultima parte al riepilogo degli aspetti finanziari.
In previsione di una riforma complessiva della disabilità la legge di bilancio per il 2021 (rif. legge 160, art.1 c. 330) aveva istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali il “Fondo per la disabilità e la non autosufficienza”, per l’attuazione di interventi a favore della disabilità, finalizzati al riordino e alla sistematizzazione delle politiche di sostegno in materia. Il Fondo ha una dotazione di 29 milioni di euro per il 2020, di 200 milioni di euro per il 2021, di 300 milioni di euro annui a decorrere dal 2022..
La legge di bilancio 2022 (rif. legge 234/2021, art. 1 comma 178) ha ridenominato “Fondo per le politiche in favore delle persone con disabilità” e trasferito presso lo stato di previsione del Ministero dell’Economia e delle Finanze; ha incrementato di 50 milioni annui per ciascuno degli anni dal 2023 al 2026.
La legge di bilancio 2024 (rif. legge 213/2023, art. 1 comma 216) ha ridotto il Fondo di 320.369.969 euro per l’anno 2024 e incrementato di 85 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2026.
Dunque attualmente “Fondo per le politiche in favore delle persone con disabilità” destinato all’attuazione delle legge delega 227/2021 e conseguentemente i decreti delegati, conta su:
350 milioni per il 2025
435 milioni per il 2026
385 milioni per il 2027
Per l’attuazione della decreto legislativo 62/2024 sono previste queste riduzioni del Fondo per le politiche in favore delle persone con disabilità.
A INPS
Assunzione del personale
– euro 7.146.775 per l’anno 2024
– euro 71.629.183 per l’anno 2025
– euro 215.371.872 annui dal 2026
Attivazione e gestione dei Concorsi e funzionamento
– euro 2.483.256 per l’anno 2024
– euro 1.625.593 per l’anno 2025
Spese di funzionamento
– 198.244 euro annui a decorrere dall’anno 2026
Alle associazioni di categoria (medici per valutazione di base)
– 6,6 milioni di euro per l’anno 2025
– 32,8 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2026.
A regime (2026) la spesa aggiuntiva per la valutazione di base dovrebbe ammontare a 248.370.116 euro annui.
Considerando gli importi attuali del Fondo, queste spese incideranno nel 2026 per circa il 57% e dal 2027 per il 64% circa.
A questo si aggiunga la spesa complessiva per la formazione di 50 milioni totali (fra il 2024 e il 2025).
Rispetto invece alla consistenza della destinazione per l’implementazione dei progetti di vita, lo stanziamento annuo, a partire dal 2025, è di 25 milioni di euro (meno del 6% del Fondo nel 2026). (Carlo Giacobini, Direttore dell’Agenzia Iura)