Storie di vita L’autonomia sta nella testa delle persone
Il problema della mobilità nella duplice ottica di una grande città e di un piccolo centro, tra rischi per la sicurezza, barriere architettoniche e limiti culturali, con un’unica certezza: il bastone bianco
Cosimo, cieco dalla nascita, ha 44 anni e intorno al 2000 si è trasferito a Roma dalla sua città natale di una Provincia del Sud. Questo l’ha portato a modificare, giorno dopo giorno, la sua prospettiva sulla mobilità, soprattutto nel primo anno vissuto da solo nella Capitale.
«Da subito - ricorda - ho cercato di vivere questa città non da turista, da visitatore, ma tentando di entrare dentro ai suoi meccanismi. Quindi il grande traffico, il ritardo degli autobus, la gente che si lamenta, tanto che una volta dissi a una signora: “Lei si lagna che questo mezzo non passa mai, ma da dove vengo io gli autobus non ce li abbiamo proprio!”». «In realtà un autobus c’era - aggiunge - ma abitando in campagna non lo potevo prendere, perché avrei dovuto attraversare una strada provinciale e farlo da solo era improponibile. Ero quindi costretto a muovermi sempre in compagnia di qualcuno».
A segnare una svolta determinante per la mobilità di Cosimo, permettendogli di andare in giro finalmente da solo, è stato un corso di orientamento e mobilità, e ancor più la scoperta del bastone bianco.
«Fu allora - racconta - che iniziai seriamente a vedere le persone che si muovevano in autonomia. Gli istruttori di orientamento ci mostravano cose quotidiane da poter fare grazie al bastone, magari banali, ma del tutto liberatorie. Ad esempio andare da solo a prendermi un caffè al bar non lo avevo mai fatto. E pensare che inconsciamente usavo già dei bastoni per muovermi, quando andavo in montagna ad esempio, e anche quando frequentavo i campi scuola».
Ma una grande città può riservare ad un cieco anche brutte sorprese e in questo senso il battesimo di Cosimo, come lui stesso racconta, è stato particolarmente duro: «Diciamo che mi hanno battezzato subito dopo che sono arrivato a Roma, fregandomi il telefono. Qualche anno dopo stavo uscendo dalla metropolitana e due persone si sono offerte di accompagnarmi, fino a quando, in un angolo buio della stazione, mi hanno preso il portafogli, un palmare di nuova generazione, 450 euro dell’ufficio e le chiavi di casa. Ricordo ancora la data precisa di quando è accaduto: è stata certamente l’esperienza più brutta in assoluto. In un’altra occasione mi hanno rubato il cellulare dalle mani, e ci hanno provato tante altre volte. Sempre più spesso, però, sono riuscito ad accorgermene in tempo e a sventare ogni tentativo».
Casi limite, certo, anche se abbastanza frequenti, ma quel che Cosimo proprio non riesce a digerire sono le barriere mentali di tante persone. «Molto spesso si lamenta il fatto che una città come Roma non sia a misura di disabile. Secondo me dipende dalle zone, perché tutto sommato in molte parti riesco a muovermi abbastanza bene, anche se con varie difficoltà. Il problema principale, però, non sono tanto le barriere architettoniche, ma le barriere mentali delle persone, di quelli che ad esempio non puliscono i bisogni del loro cane sul marciapiede o che lasciano altre cose per strada. Lì non è colpa di nessuna amministrazione comunale, lì il problema è proprio culturale!».
Scarsa conoscenza, quindi, e disinteresse dei problemi altrui. Ma Cosimo allarga ulteriormente la questione, toccando anche altri aspetti ed esprimendo una propria idea personale su ciò che realmente servirebbe alla mobilità delle persone con disabilità visiva. «Sulla pulizia delle strade - dice - credo che negli ultimi anni la situazione sia peggiorata. Anche le foglie in autunno, ad esempio, possono diventare un problema. E lo sono naturalmente le tante auto sui marciapiedi: qui, però, se le persone non capiscono che sono loro a non dovercele mettere, penso ci sia poco da fare. C’è tuttavia anche un grosso problema di progettualità, perché d’accordo fare la città a misura di disabile, ma se questo significa riempirla ovunque di pavimentazione tattile bisogna capire se ciò sia veramente utile alle persone con disabilità visiva».
L’opinione di Cosimo si lega strettamente al suo stesso concetto di autonomia. «Oggi - spiega infatti - il problema dell’autonomia è molto sentito, ma secondo me nella maniera sbagliata. Si pensa che l’autonomia si possa conquistare solo attraverso la tecnologia e la predisposizione dei vari luoghi fisici. Ma questo è vero fino a un certo punto e per due ragioni, la prima riguarda i ciechi, la seconda i vedenti. Mi spiego meglio. Ci sono persone con la mia stessa limitazione visiva che dicono: “Bisogna mettere il pavimento tattile in quel museo!”. E allora io rispondo: “Ma tu ci vai veramente da solo in quel museo?”. Lo stesso vale per la tecnologia: si pensa cioè di trovare un navigatore che individui tutti gli ostacoli per te, e invece bisognerebbe puntare di più sulle proprie capacità, perché secondo me, allo stato attuale, non c’è ancora nessuno strumento che possa sostituire il bastone».
Anche sulla progettazione di ausili e percorsi tattili da parte di persone vedenti, Cosimo esprime una posizione netta. «Uno che vede - spiega - pensa a strumenti a misura di vedente, però chi vede percepisce gli ostacoli e i pericoli in maniera diversa rispetto a chi non vede. E questo è un meccanismo che bisognerebbe far entrare bene sia nella testa dei vedenti che dei non vedenti».
November 2017