Storie di vita Gli altri pensano che non ce la farai mai
Una donna in carrozzina ripercorre le discriminazioni multiple subite come donna e persona con disabilità, nel mondo del lavoro e nella vita di tutti i giorni
Potrebbe sembrare un paradosso, ma non è stata la mia grave limitazione motoria ad ostacolarmi nella vita. Sin troppo spesso, invece, lo è stato il pregiudizio, negli occhi di coloro che mi hanno da sempre vista come una “donna di cristallo”, nata e vissuta in un mondo a parte.
Me n’ero accorta, naturalmente, sin dai tempi della scuola, ma crescendo tutto mi è sembrato più chiaro, soprattutto quando sono arrivate le prime esperienze di lavoro.
Credo molto nell’importanza di un’occupazione e spesso mi trovo anche a litigare con persone nella mia stessa condizione che passano la giornata in casa, davanti al computer, che non studiano e non lavorano. Se lavori, infatti, esci di casa, stai in mezzo alla gente e con lo stipendio ti puoi togliere anche qualche sfizio.
Devo poi dire di essere stata in un certo senso fortunata, perché, almeno all’inizio, è stato il lavoro a cercare me e non il contrario: ero al primo anno di psicologia e una cooperativa sociale che già frequentavo aveva bisogno di una persona che potesse gestirne i piani di assistenza. Quando si sono accorti delle mie capacità, mi hanno offerto quel posto, caricandomi da subito di responsabilità. Ma per una donna, e per giunta con disabilità, c’è sempre un prezzo: dire che ero sottopagata è infatti dir poco, ricevevo una sorta di rimborso spese, ma con responsabilità sempre crescenti.
Sullo sfruttamento economico potrei raccontare tante storie, ma continuo a ritenere che pure questo sia una conseguenza di mentalità sbagliate, di chi pensa già da prima, semplicemente guardandoti, che non ce la potrai mai fare, e quindi crede anche di potersene approfittare.
Già da qualche anno sono occupata in una struttura di assistenza sanitaria, che per legge doveva assumere una persona con disabilità. Beh, solo di recente la responsabile con cui sostenni il primo colloquio è riuscita a confidarmi che non aveva proprio il coraggio di avvicinarsi ad una persona come me, umanamente da rispettare, ma troppo fragile per confrontarsi con il mondo di tutti i giorni.
Ecco, sta tutto lì. Anche perché, fisicamente piccolina e di carattere schivo, quando sono in mezzo a persone che non conosco parlo poco o nulla. E così, quando ho iniziato il lavoro di adesso, con la qualifica di centralinista, me ne stavo in un angolino, silenziosa, a rispondere al telefono.
Un giorno, un medico della struttura mi affidò un compito semplice, banale, pensando che ci avrei messo probabilmente ore e ore di lavoro. E invece in breve tempo non solo assolsi al compito, ma lo feci anche meglio di come lo avrebbe fatto qualcun altro. «Ma come è possibile?» - mi disse. Pensava che non fossi assolutamente in grado di fare nient’altro che rispondere al telefono, e magari malamente.
Quel fatto, tra l’altro, comportò anche lì un progressivo carico di responsabilità, senza che cambiasse per molto tempo la mia bassa qualifica e il mio ridotto compenso.
Ma i pregiudizi e le discriminazioni di genere non coinvolgono solo il mondo del lavoro. Un esempio l’ho vissuto a vent’anni, da parte della famiglia di una ragazza arrivata da poco nella mia piccola città del Centro Italia e unitasi alla mia compagnia. Eravamo usciti una sera d’estate e, senza rivolgersi direttamente a me, la madre disse che i miei genitori avrebbero dovuto vergognarsi a mandarmi in giro e che sarebbe stato meglio tenermi in casa. Non era una novità, perché discorsi del genere li avevo già sentiti prima e avrei continuato a sentirli anche dopo, ma in quell’occasione provai una grande rabbia, che mi portò a reagire con durezza.
Poco a poco, però, ho iniziato anche a capire che di discorsi come quelli non mi interessava, perché credo che chi mi giudica in un certo modo stia in realtà giudicando proprio se stesso, o meglio la sua incapacità di accettare una persona con le mie caratteristiche.
Del resto, lo spirito di adattamento non mi manca e nemmeno la voglia di trovare sempre una buona soluzione. Adattarsi, far conoscere agli altri le proprie esigenze, ma anche le proprie capacità, è per me l’unica strada possibile, sia nel lavoro che nella vita di tutti i giorni. Anche perché siamo tutte persone, no? Magari io ho bisogno di qualche accorgimento in più, ma alla fine, chi dovrebbe essere a fare la differenza? La donna o la carrozzina?
Prima o poi credo che sempre più persone daranno la risposta giusta.
September 2017