Storie di vita Soli a combattere
Per una persona con disabilità il problema non è solo trovare un’occupazione, ma anche arrivare sul luogo di lavoro, disporre della strumentazione adatta, avere intorno un ambiente collaborativo
Sono Carlo, ho 54 anni, vivo in una grande città e lavoro nel campo dei servizi informatici. Sono ipovedente fin da bambino e nel corso del tempo ho quasi completamente perso la vista. Nella mia vita ho cambiato diverse aziende e mi sono trasferito in varie città della Penisola.
Sul posto di lavoro le cose mi sono sempre andate molto bene, o perché sono stato fortunato, o perché in qualche modo sono riuscito a spiegare correttamente ciò di cui avevo bisogno. Ho sempre avuto coscienza dei problemi che potevano sorgere sul lavoro, sia dal punto di vista tecnologico che da quello organizzativo, e me la sono cavata ovunque nel migliore dei modi.
Oggi come oggi quasi tutti i lavori si svolgono al computer, quindi in prima battuta ciò di cui ho sempre avuto necessità sono quelle che vengono definite come tecnologie assistive, quali il display Braille o il lettore vocale. Tuttavia, ironia della sorte, queste tecnologie a volte rischiano di essere del tutto inutili di fronte all’inaccessibilità di alcuni strumenti informatici. Banalmente, mia sorella, che ha la mia stessa patologia e lavora in una pubblica amministrazione, per anni non ha potuto neanche firmare il foglio delle presenze perché si usava un software che non era accessibile, e quindi qualcun altro doveva farlo al posto suo.
Per quanto mi riguarda, ho svolto lavori abbastanza all’avanguardia rispetto alle tecnologie, ma ciò mi è stato possibile anche grazie alla collaborazione degli altri. Quante volte, ad esempio, tra colleghi capita di dire: «Vieni qui, ti faccio vedere sullo schermo come si fa». Chiaramente per me è impossibile farlo, e quindi, se è vero che esistono degli strumenti tecnologici di supporto, è altrettanto vero che occorre intervenire anche su altri aspetti. Innanzitutto sulle proprie capacità personali: bisogna saper chiedere, domandare, non essere timidi. Poi occorre agire sull’ambiente: prepararlo, parlare con le persone, perché l’empatia non è affatto una dote innata negli esseri umani.
Molti problemi che una persona con disabilità incontra sul lavoro derivano dal fatto che viene quasi paracadutata in azienda e lasciata da sola a combattere la propria battaglia. Quindi, dove siamo carenti non è tanto negli adattamenti strumentali, almeno per un disabile della vista, quanto nell’approccio umano, nella cultura. Il mondo è davvero vario, se è vero che accadono cose strane come non fare entrare il cane guida nel posto di lavoro.
E poi c’è il resto: il problema della mobilità e dei trasporti. Ho un lavoro, bello, interessante, gratificante. Fruisco di tecnologie assistive, godo di accessibilità strutturale e strumentale. Ho la collaborazione dei miei colleghi. Ma poi come ci arrivo sul posto di lavoro?
Essendo impiegato nella fornitura di servizi informatici ad amministrazioni pubbliche ed enti privati, per anni ho dovuto fare i conti con l’assenza di un luogo fisso di lavoro. Mi recavo presso il cliente per la produzione e l’implementazione di software. Quindi, per fortuna, a volte mi capitava di essere dislocato, anche per qualche anno, presso clienti comodi da raggiungere con i mezzi pubblici. Ma altre volte, le più numerose, dovevo attraversare la città per arrivare a destinazione: un viaggio ogni volta, e questo è abbastanza pesante.
Da sempre mi muovo da solo, sono piuttosto autonomo con il mio bastone, ovviamente però su percorsi che conosco bene. Nel tempo ho elaborato la mia strategia per recarmi in un posto nuovo. La prima volta mi faccio accompagnare con i mezzi pubblici da una persona di fiducia. Poi per i tre o quattro giorni successivi sfrutto i colleghi per imparare la strada dalla fermata dell’autobus o della metropolitana alla sede di lavoro. E alla fine diventa una specie di automatismo, perché ho costruito i miei punti di riferimento. Certo, è abbastanza faticoso, anche perché ti puoi trovare in situazioni difficili, possono capitare degli imprevisti, come un ostacolo nuovo lungo il percorso, un autobus che si rompe, la metropolitana che si ferma.
In genere sono abbastanza bravo ad orientarmi. Negli ultimi nove anni di peregrinazioni tra treni, metropolitane e autobus, solo un paio di volte in tutto avrò sbagliato fermata. Ma sto anche molto attento. Sugli autobus, ad esempio, è difficile trovare gli annunci vocali, e allora memorizzo la curva che il mezzo fa prima della fermata a cui devo scendere. Oppure uso i mezzi tecnologici, credo infatti di essere stato uno dei primi a sfruttare il localizzatore dello smartphone. E poi chiedo aiuto alle persone che incontro.
Nel tempo, mi sono trovato ad affrontare tutti i possibili imprevisti e me la sono sempre sbrigata al meglio, perché fondamentalmente sono in grado di relazionarmi con le persone, non ho nessuna vergogna a farlo. Io dico sempre che, se mi copro è perché non voglio dar fastidio agli altri, altrimenti andrei in giro completamente nudo! Sono del tutto privo di senso del pudore e questo mi ha sempre aiutato molto nella vita.
Poi ognuno di noi deve fare anche i conti con le proprie forze. E con l’età inizio ad essere stanco anch’io. Il posto dove lavoro adesso è distante cinque chilometri in linea d’aria dalla mia abitazione, con la macchina ci si mette un quarto d’ora quando non c’è nessuno, mezz’ora quando c’è traffico, ma farlo con i mezzi pubblici significa attraversare un vero e proprio girone dell’inferno! Dovrei prendere il trenino, due metro, un autobus e fare un pezzo a piedi: un incubo, e per soli cinque chilometri. E allora mi sono arreso. Mia moglie al momento non lavora, e quindi in questo periodo è lei ad accompagnarmi in macchina. Quando invece ha degli impegni vado da solo, ma questo significa stare due ore per strada sui mezzi pubblici.
Andare al lavoro in autonomia ha sempre rappresentato, per me, un punto d’onore di tutta la mia vita. Ma a un certo punto bisogna anche fare i conti con le proprie forze e mollare; non è una sfida. E quando mia moglie tornerà a lavorare, vedrò cosa fare.
October 2017