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Storie di vita

Per un’insegnante cieca la collaborazione è tutto

Un’insegnante di sostegno cieca soddisfatta del suo lavoro, che riesce a superare le possibili difficoltà grazie soprattutto al suo approccio pratico e collaborativo

Caterina è un’insegnante di sostegno cieca, che attualmente lavora in una ex scuola per non vedenti. «Ci sono entrata qualche anno fa - racconta - grazie ad una preside che mi ha espressamente voluto. Gli insegnanti non vedenti di prima erano andati in pensione e quindi ne serviva un’altra. Se però ha chiamato me, non è stato semplicemente per tappare un buco, ma perché aveva visto il mio modo di lavorare e lo aveva apprezzato».

Da allora, Caterina è rimasta in quella scuola, diventando ben presto un vero e proprio punto di riferimento per la disabilità visiva. Tanto che oggi gli altri insegnanti la ammoniscono: «Mi raccomando, non andartene, non fare brutti scherzi. Se vai via tu, come facciamo?».
Qualche volta, addirittura, le viene chiesto un sostegno anche oltre le sue stesse competenze. «Recentemente - ricorda - mi hanno telefonato a casa, per chiedermi quale programma si debba usare per scrivere la musica in Braille. “Guarda - ho risposto - se mi chiedi di matematica o di italiano, bene, ma di musica proprio ne so poco. Rivolgiti ai musicisti!”. Io naturalmente non posso sapere di tutto, ma nonostante questo è stato bello che il primo pensiero sia stato quello di rivolgersi a me».

La scuola di Caterina, del resto, è proprio un istituto ad indirizzo musicale, nel quale le persone non vedenti e ipovedenti hanno la precedenza nell’iscrizione. Anche loro devono sostenere un esame di ammissione, che serve per lo più a conoscerli meglio. «Ci è utile soprattutto per capire come muoverci - spiega Caterina - per impostare il gruppo classe, in base al fatto che la persona con disabilità visiva abbia o meno limitazioni funzionali aggiuntive o disturbi comportamentali».
Si tratta di un’organizzazione indubbiamente complessa, che non sembra però avere mai creato particolari problemi a Caterina, grazie al suo approccio pratico e collaborativo. «In generale - racconta - non ho mai incontrato grosse difficoltà nella mia carriera lavorativa, perché il mio modo di essere è questo: se c’è un problema cerco di risolverlo, se c’è un lavoro da fare lo faccio. Ciò mi ha permesso di superare le diffidenze iniziali, anche nelle altre scuole in cui ho lavorato, soprattutto con i colleghi. Ovvio che con qualcuno mi trovo meglio che con altri, ma questa è la normale dinamica che si crea in qualunque ambiente di lavoro. E da parte mia cerco di pesare sul prossimo il meno possibile, proprio l’indispensabile. Ad esempio, nessuno mi ha mai posto problemi, e nemmeno la segreteria, quando c’è da siglare al posto mio il foglio firma o le circolari che arrivano. Lo spazio, infatti, è talmente piccolo che rischierei di andare sopra alla firma degli altri. È una piacevole convenzione, accettata da tutti. E, quando chiedo a qualcuno: “andiamo insieme alla metropolitana?”, se può venire bene, mi fa piacere, chiacchieriamo un po’, altrimenti ci vado da sola, mi arrangio».

Qualche difficoltà, semmai, arriva dalle attrezzature: la LIM (Lavagna Interattiva Multimediale) è del tutto inaccessibile a Caterina, ma i ragazzi che lei segue usano il testo in Braille e quindi non ne hanno bisogno.
Più complessa è la faccenda con il registro elettronico, ma anche qui a fare la differenza sono da una parte il suo spirito di adattamento, dall’altra l’elasticità dei dirigenti scolastici. «Sul registro elettronico - spiega - non riesco proprio a scrivere tutti i giorni, ma i miei presidi e vicepresidi accettano che io scriva sul mio computer di casa quello che ho fatto durante la giornata, mettendo il file a loro disposizione, nel caso lo vogliano vedere».
Stesso metodo con la stampante Braille, che pure a scuola ci sarebbe. Caterina, infatti, preferisce in genere lavorare da casa, preparando il materiale che le serve tranquillamente con il suo computer, stampando il necessario ed elaborando le schede didattiche a seconda della materia.
Alla base di tutto, però, solo un atteggiamento di grande collaborazione riesce a far filare le cose nel modo migliore. Accade in particolare con l’assistente alla comunicazione, quando ad esempio c’è da spiegare ai ragazzi la lezione di geometria: «Dove non ce la posso fare io, è lei a disegnarmi un trapezio o un’altra figura, mentre io le scrivo gli appunti».

Caterina, dunque, si ritiene pienamente soddisfatta del suo lavoro, che le consente anche una certa indipendenza. E tuttavia, pur essendo una donna che si muove autonomamente, vive il paradosso di farlo assai poco nel piccolo centro in cui risiede. «Può sembrare strano - racconta - ma nel paese dove vivo mi muovo di meno, pur essendo ben più tranquillo della grande città dov’è la mia scuola. Purtroppo è un problema di mentalità ristretta, che porta molte persone a giudicare o addirittura a criticare una persona cieca, se la vedono per la strada. Questo mi infastidisce parecchio e così preferisco stare soprattutto in casa. Sono convinta invece che, se vivessi in città, avrei meno problemi, nonostante i pericoli e i rischi maggiori».

August 2018